giovedì 31 luglio 2014

INSEGUENDO LE TATTICHE DEGLI ALTRI

Immagine tratta da duoinfolle.wordpress.com e modificata su befunky.com
Molto spesso si è detto che il limite europeo del Napoli di Mazzarri di qualche stagione fa, e della Juve di Conte, fosse la difesa a tre.
Troppo difensiva, troppo remissiva, spesso schierata a cinque in linea durante gli attacchi avversari.
Tutte le big europee erano a 4 dietro, messe in campo con il 4-3-3 o il 4-2-3-1.
E allora si consigliava di cambiare, di seguire la strada degli altri. In questa stagione anche un integralista del 3-5-2/3-5-1-1 come Walter Mazzarri nella sua Inter, ha messo in cantiere di giocare qualche partita con la difesa a 4, comprando calciatori adatti a questo schieramento. E così Allegri nella Juventus sta lavorando contemporaneamente sia sul "classico" 3-5-2 che sul 4-3-3.
Per rendere finalmente le nostre squadre più "europee" e ricalcare i moduli che vanno per la maggiore, soddisfacendo le richieste della critica nostrana.
Inseguendo gli altri, insomma.
Ma basta sfogliare qualche giornale o qualche sito estero per scoprire che...la tattica sta andando ancora dalla parte opposta a quella che stiamo pensando di seguire in Italia!
Mentre le nostre big puntano a giocare a 4 dietro per tornare competitive in Europa, dei santoni del calcio stanno provando la difesa a 3!
Louis Van Gaal e il Manchester United in primis. Dopo aver disputato gli europei con quella sorta di 3-5-2 con l'Olanda che tanto faceva storcere il naso ai critici olandesi (puristi del 4-3-3), sta riproponendo lo stesso schema al Manchester. 
Pep Guardiola idem al Bayern. Dopo essersi costruito una reputazione sulla difesa a 4 e il tiki-taka, pare sperimentare in questa estate 2014 un 3-4-3/3-4-1-2 (a dire il vero provato anche in qualche gara alla fine della sua esperienza al Barça). Le collocazioni in campo dei calciatori sono come sempre "personali", alcuni siti tedeschi (fcbayerncentral.com) parlano di Lahm e Alaba nei 3 centrali di difesa, di Ribery e Gotze possibili interpreti nei due di centrocampo. Insomma si prevedono grosse novità anche dal fronte bavarese.
E per ultimo Luis Enrique: oggi il Mundo Deportivo apre con la bomba tattica che sta architettando per il suo Barcellona un 3-2-3-2, più barbaramente un 3-5-2 con ali molto offensive, al fine di schierare tutti i suoi talenti insieme in campo. In primis Neymar, Messi e Suarez, con Rakitic e Busquets coppia di mediana a coprire la difesa a 3, ma anche Pedro e Iniesta nel terzetto dietro le due punte. Insomma 3+2 dietro, e tutti gli altri avanti.
Tutto questo per dire, che se Manchester Utd, Bayern e Barcellona preparano la difesa a tre, evidentemente anche i nostri Conte e Mazzarri, che al 3-5-2 erano arrivati molto prima, non erano sulla strada sbagliata. Il problema forse non era tanto la tattica in sé. E ora, mentre i nostri pensano di tornare a 4 dietro, gli altri provano a 3, insomma: mentre il mondo calcistico va da una parte, noi andiamo costantemente dalla parte opposta! Allegri e Mazzarri, continuate a 3!

mercoledì 30 luglio 2014

POGBA SR. E I SUOI FRATELLI

Immagine tratta da corrieredelmezzogiorno.it e modificata su befunky.com
Il Pescara ha preso Pogba.
Storia vera.
E non è neppure una gaffe di Tavecchio. E' il fratello maggiore dello juventino Paul, ruolo attaccante, classe '90, esperienze passate Wrexham e Crewe Alexandra, all'anagrafe Mathias Pogba.
In barba alla valorizzazione degli italiani, negli ultimi anni stiamo anche subendo l'invasione dei "fratelli di" giocatori stranieri che militano o hanno militato in passato nel nostro campionato.
Da quando il calcio è a colori, il primo esempio eclatante è stato Maradona. Diego, l'immenso 10 del Napoli, portò nell' 87/88 all'Ascoli il fratellino Hugo. Meteora a tutti gli effetti, il tempo di una figurina Panini e di 13 presenze incolori in bianconero. Un prosieguo di carriera tra Rayo, RapidVienna, Dep.Italia, Fukuoka, Avispa, Toronto e Consadole. Poi fu il turno della dinastia Laudrup, Michael numero 10 di Lazio e Juventus e Brian, che sbarcò in Italia nel 92-93 nella sfortunata annata della retrocessione della Fiorentina e si trasferì l'anno dopo al Milan. Numeri pessimi per una punta: 6 reti totali su 40 presenze. Abedì Pelè è una leggenda del calcio africano, e tra il '94 e il '96 passò per il Torino, due buone annate e bei ricordi lasciati ai tifosi granata. Non altrettanto si può dire del fratellino Kwame Ayew, transitato da Lecce tra il '93 e il '95. 7 reti in 34 apparizioni, e doppia retrocessione consecutiva A-C1.
Strano destino anche quello dell'Ancona. Ben 3 i fratelli d'arte stranieri accolti nelle due esperienze in Serie A dei marchigiani. Si comincia nel '92-'93 con El Raton Zarate (13 presenze e 2 gol), fratello e futuro agente del più celebre Mauro Zarate, ex Inter e Lazio, e si prosegue con Mads Jorgensen, firmato nel 2003, ma con 0 presenze stagionali, fratello dell'ex Udinese e Fiorentina, Martin Jorgensen. Sempre nella stessa stagione sbarca ad Ancona Luis Helguera, 13 presenze, e una discreta carriera di secondo piano in Italia con Udinese e Fiorentina prima e Vicenza poi. Fratello di Ivan Helguera, colonna del Real Madrid, con una fugace apparizione nella Roma di Zeman nel '97-'98 (9 gettoni).
Negli ultimi tempi son sbarcati Digao, fratello di Kakà, un difensore che riuscì, grazie ai buoni uffici familiari, a strappare un contratto pluriennale con il Milan (e passò anche per Rimini, Lecce e Crotone), Burdisso Guillermo, 2 presenze nella Roma del 2010/11, fratello di Nicolas (molti anni italiani tra Inter, Roma e ora Genoa), Nicholas Frey, da 10 anni terzino in Italia tra Legnano, Modena e attualmente Chievo, fratello di Sebastien, portiere di Inter, Verona, Parma, Fiorentina, Genoa, che attualmente sverna in Turchia.
Presenti nella lista anche gli insospettabili Rubinho (portiere di Genoa, Palermo, Livorno, Torino e ora Juventus), fratello di Ze Elias (promessa mai mantenuta tra Inter e Bologna) e la coppia Inacio Pià (ex Napoli, Torino e una decina di altri club italiani)-Joelson (che ha girovagato per anni tra B e C e ha pure 1 gol in A con la Reggina). 
E chiudiamo questo elenco con la saga dei centrocampisti finlandesi Eremenko. Alexei militò 35 volte tra 2004 e 2006 al Lecce, il fratello Roman, sempre in quegli anni 11 volte a Siena e 7 a Udine.
Insomma, è un'invasione di fratelli d'arte. Ma la maggior parte sono meteore, a fronte di uno buono c'è il rovescio della medaglia del fratello bidone. 
E' sempre stato così, con rare eccezioni di coppie di meteore.
Ci perdoni il Pescara e Mathias Pogba, ma una vaga idea su chi dei due sia quello forte e chi il bluff, ce la siamo già fatta.

martedì 29 luglio 2014

PIPPO E IL TOCCO DELL'ALLENATORE

Immagine tratta da gazzetta.it e modificata su befunky.com
Quando i soldi non ci sono. Quando in rosa si hanno una marea di giocatori senza arte nè parte, sospesi nel limbo del "potrebbero essere, ma non sono ancora". Quando Allegri non ha cavato un ragno dal buco nella scorsa stagione. Quando Seedorf fa 35 punti in 19 gare, ma viene allontanato per poco feeling con dirigenza e spogliatoio. Quando si è reduci da un ottavo posto e non si hanno giocatori in rosa da poter cedere e far cassa e rifare tutto. Ecco. Questo è il momento o di farsi benedire definitivamente, o di cercare un nuovo messia della panchina.
Bene. Questo è il momento di Pippo Inzaghi.
Una gatta da pelare epocale per l'idolo di undici felici stagioni passate al Milan.
Deve avere il tocco. Rendere leader qualcuno dei vari Montolivo, Balotelli o El Shaarawy. Far sbocciare definitivamente Poli, Niang, Saponara, Cristante o Mastour. Dare un senso a calciatori come Mexes, Honda, Essien, Constant. 
Tutto un "se" e un "ma". 
La chiave è riuscire a volgere in positivo queste situazioni da "se" e da "ma". Riuscire a trasformare i singoli in squadra, e far crescere gli interpreti a uno a uno.
E in una situazione del genere serve un fuoriclasse della panchina.
Pippo ha un'occasione d'oro professionale enorme. Passare come il Sacchi della situazione o fare la fine dei vari Leonardo, Seedorf o anche Stramaccioni e Ferrara di recenti memorie interiste e juventine.
Disciplina, regole ferree, principi di gioco chiari, squadra titolare definita, uno schema che riesca a valorizzare la maggior parte dei giocatori sia in fase offensiva che in quella difensiva.
Inventarsi qualcosa, o semplificare il più possibile i concetti. Due sono le strade.
Riuscisse a rendere in campo il Milan padrone del gioco, con questa sgangherata rosa, sarebbe già un successone.
In una situazione abbastanza caotica si trovò non più di un anno fa Rudi Garcia alla Roma, con una rosa giallorossa reduce dalle faticose annate targate Luis Enrique e Zeman/Andreazzoli e una contestazione veemente anche agli allenamenti.
Ma riuscì ad avere il tocco. Trasformò i solisti in una grande squadra. Tecnicamente e mentalmente. Ha dato gioco, ha valorizzato tutti, ha fatto sbocciare definitivamente Pjanic e Benatia, ha rivitalizzato De Rossi, De Sanctis e Maicon, ha dato un senso a Castan e Destro. 
Questa è la via che deve seguire Inzaghi.
"E' amatissimo da tutti noi, ha il supporto totale della società, siamo convintissimi", ha sentenziato ieri Galliani. E questo è già un ottimo inizio.
Partire in sordina, a fari spenti, potrebbe essere un vantaggio. Serve lavorare, lavorare, lavorare e non scoraggiarsi alle prime difficoltà. Anche se alla voce acquisti leggi ancora solo Agazzi, Alex e Menez.

domenica 27 luglio 2014

F1 DIARY - TAPPA 11, GARA

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Il dubbio. Perchè allora il dubbio si insinua. Prima nella testa di Lewis e poi in quella di tutti gli altri. E se in Mercedes gli stessero realmente facendo le scarpe?
Quel "fai passare Nico", su una strategia e gomme diverse, nel corso della gara è il punto focale, forse della stagione intera.
Assieme alla presa di posizione di Hamilton, in diretta e in differita. In diretta si rifiuta, dicendo al team che Rosberg avrebbe dovuto avvicinarsi per accampare una pretesa del genere. E in differita aggiunge che "Il mio lavoro non è far passare gli altri".
Bene, il duello è servito. Hamilton termina 3°. Rosberg 4°. Tra i due 11 miseri punticini a favore del Biondo. 
Con il Nero che rimugina, mastica amaro, riflette. Troppe rotture, troppe frasi sibilline.
Non è che non siamo Paperini ma Sabotatini o Schieratini tutti verso il bel principe tedesco Rosberg?
Un mese di vacanza ora, che sicuramente il duo Mercedes non trascorrerà assieme.
Oh, ma poi Ricciardo è un gran manico. Un grandissimo manico. Sta svergognando Vettel. Quel quadricampione fenomenale fortissimo. E lo sta svergognando con prestazioni clamorose, con sorpassi memorabili. Con cattiveria e con fame.
E oggi ha vinto. Alla seconda vittoria stagionale e in carriera. In questa stagione, contro Vettel nel box, e contro le Mercedes spaziali. Chapeau, ben arrivato al nuovo fenomeno a 52 denti.
E la Ferrari piazza una reazione. Di squadra. Questa è la Ferrari che si chiede a gran voce da inizio anno. La macchina non va, ma che si sfrutti ogni strategia, ogni millimetro di tattica per recuperare. 2° Nando e 6° Kimi. Le migliori prestazioni dell'anno. L'esperienza dei piloti al servizio di un rischio tattico finalmente azzeccato. Magistrale la gara di Alonso, che ha chiuso alla piazza d'onore e sulle tele. Lottando come un leone. E lode a Kimi, da 16° a 6°, anche lui andato lungo nelle soste per recuperare. Da squadra si può uscire a testa alta da una situazione nera come quella del 2014. Con entrambi i piloti. Che non sono il problema della Rossa.
La F1 turbo è bella. Ogni gara combattuta ed equilibrata, se escludiamo le Mercedes (oggi relegate indietro da pioggia e safety car). Alla fine dopo il periodo iniziale di ambientamento, stiamo vedendo un po' di spettacolo. Bene così.

sabato 26 luglio 2014

F1 DIARY - TAPPA 11, QUALIFICHE

Immagine tratta da f1passion.it e modificata su befunky.com
E mmòbbbasta veramente però!
Signor Pat Fry che stai al muretto box (quello della foto), ma come fai a sbagliare così grossolanamente la tattica per Kimi Raikkonen?
E' tempo di dare delle risposte, perchè una o due volte può capitare di sbagliare le strategie, ma questa sta diventando un'abitudine.
"Su questo tracciato la possibilità di effettuare sorpassi è particolarmente limitata e per questo motivo, più che altrove, in qualifica occorre ottenere il massimo” questo è ciò che dichiari nell'immediato pre-gara, e mi combini un papocchio del genere alla prima occasione?
All'Hungaroring poi, il circuito più difficile per i sorpassi assieme a Montecarlo.
Hai Kimi Raikkonen lì lì in zona rossa e 1) non gli fai fare un altro giro con le gomme usate, dopo un giro in cui è andato oggettivamente piano e bastava 1 decimo per salvarsi, 2) non lo fai uscire una volta che quelli dietro erano tutti in pista. 
Kimi esce con un 1'26'7 quando nelle prove libere della mattina aveva fatto un 1'24'8. Allucinante.
E poi Raikkonen dichiara: "Ho chiesto due volte se eravamo certi al 100% di non uscire, e avete visto il risultato finale". Ancora una volta il pilota va inascoltato.
A sto punto direi di dare un po' retta a chi guida, che dite?
Possono avere sensazioni peggiori di quel signore che prende le decisioni al muretto e del suo gruppo di lavoro?
Come si fa ad uscire nella Q1, ribadisco, in una delle piste peggiori per rimontare e sorpassare?
Volete dare tutta la colpa a Raikkonen 17°? E diamola. Ma alla seconda guida Ferrari c'è sempre un pilota bollito, la strategia peggiore e la macchina meno solida. Apriamo gli occhi, può essere un caso? O si ha una seconda squadra inadatta? Tattiche, ingegneri, tutto.
Abbiamo tagliato le teste di Domenicali e Marmorini, e ora? Peggio che mai.
Le qualifiche son state belle, sontuoso Vettel 2°, sfortunello Hamilton manda a sfiammare la Mercedes immediatamente e partirà in ultima fila. Bene Alonso 5°, in linea con ciò che la vettura gli concede. In pole abbiamo Rosberg, che pian piano sta mettendo le mani sull'iride, psicologicamente e materialmente. La fortuna del Principe e la sfortuna di Paperino, le due facce della Mercedes.
Pronostico di domani? Pioverà e alla curva 1 ci saranno bei dritti. 1°Rosberg, 2°Vettel, 3°Alonso. Raikkonen? 6°. 

TAVECCHIO, LE BANANE, I MAIALI E IL BORDELLO

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"Le questioni di accoglienza sono una cosa, quelle del gioco un'altra. L'Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare. Noi invece diciamo che Opti Pobà è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così".
Parole e musica di Tavecchio Carlo, classe 1943 da Ponte Lambro. Professione: prossimo presidente della Figc. 
Ma sì, ma affidiamo il calcio a questo signore, che neppure ancora ufficialmente eletto, comincia a partire per la tangente manco fossimo nel reparto geriatria dell'Ospedale Federcalcio. E' un segnale di rinnovamento forte eh, come se non fossimo già oberati di problemi da soli. Le banane le abbiamo viste realmente lanciate in campo ai giocatori di colore negli ultimi anni, e Tavecchio non ha saputo fare di meglio che spararla così, grossa, enorme, vetusta e razzista che manco un Presidente del Consiglio d'annata avrebbe potuto dirla in modo peggiore. Con tanto di scuse postume annesse.
Basta leggere la prima riga della sua descrizione su Wikipedia per capire la novità del personaggio: "Esponente della Democrazia Cristiana, è stato sindaco di Ponte Lambro consecutivamente dal 1976 al 1995". Un politico vecchio stampo, che ha fatto il Sindaco per 19 (!) anni di fila, prima di dedicarsi alla Lega Calcio Dilettanti.
E giù poi di altre dichiarazioni sullo stile "giovane": "Il ranking Fifa non mi preoccupa. Abbiamo fatto pizza e fichi negli ultimi due anni, ma abbiamo quattro stelle sulla maglia", e prosegue sulla questione ct: "Non ho mai incontrato Conte. Quell'altro delle Marche, Mancini, non l'ho mai visto se non allo stadio perché sono interista. Con quello del Friuli, Guidolin, non ho mai parlato. Ora devo occuparmi di questo 'bordello'".
E prosegue: "Dobbiamo combattere la violenza: quando entro in un tornello a San Siro mi viene la paranoia, mi sento come un maiale che va al macello. Dobbiamo cambiare la cultura di base a scuola, educazione civica con garanzie di sicurezza di base", parole appropriate, che dire. Bisogna cambiare la cultura, hai ragione Tav! E tu sei il motore di questo cambiamento, tornando a parlare di africani e banane, di bordelli e di maiali ai tornelli. Bene così!
Dichiarazioni da mani in testa.
E questo personaggino ex direttore di banca ed ex sindaco democristiano è stato spinto e sponsorizzato e voluto fortemente da Claudio Lotito della Lazio.
Quello che ha fatto scappare i tifosi biancocelesti dall'Olimpico, il Presidente laziale forse più impopolare di sempre. Uno che sa come avvicinare la gente agli stadi.
E come indicato da Tavecchio, una delle prime innovazioni sarebbe proprio la seconda proprietà di club, tanto cara a Lotito. Le squadre B, immaginate da Tav: "Magari fuori classifica". Ma sì, andiamolo a dire al Latina, al Cittadella, al Foggia o al Catanzaro che per loro ci sarà uno spazio in meno tra B e C, per far giocare una Lazio B, un Inter B o una Juve B. Con annessa riduzione di squadre nei campionati, giusto per far fuori le piccole realtà e aumentare i dividendi televisivi tra i club. Le squadre B per storia calcistica non ci appartengono, e l'innesto potrebbe essere un totale disastro, quanto durerebbero dopo l'entusiasmo iniziale?
Ma che favole ci stiamo a raccontare? Cosa cambierà la coppia Tav-Lotito?
Stiamo riuscendo a peggiorare una situazione ai minimi storici.
Altri due anni di buco nero.

giovedì 24 luglio 2014

DENARI E ATTACCAMENTO ALLA MAGLIA

Immagini tratte da youfeed.it, ilcalciomagazine.it, gazzetta.it, welovemercury.com, humorfutbolclub.com e modificata su befunky.com
Perchè il calcio è attaccamento alla maglia e passione dei tifosi.
No.
Il calcio è soldi. 
Fiorentina, Inter, Juventus, Milan e Roma dopo la breve fase iniziale di ritiro estivo vanno in giro per il mondo a raggranellare gettoni di presenza qua e là.
Amichevoli improbabili, location improvvisate di tornei inventati.
Tutto per far cassa. 
Il Milan, secondo quanto riportato nei giorni scorsi dalla Gazzetta, per la tournèe americana incasserà 3,5 milioni, 2 e mezzo per l'Inter, la Roma quasi un milione, la Fiorentina per il tour in Sudamerica un milioncino tondo tondo.
Competizioni prestigiose come la Guinness Cup e la Copa Euramericana. E la Juve che vola in Indonesia, Australia e Singapore per fare show.
Spesso si incontrano squadre che inizieranno il campionato un mese prima, con differenze di preparazione anche importanti. Con il rischio di batoste e figuracce dietro l'angolo.
Ha senso durante la preparazione estiva, nel momento in cui si mette più carburante per poter correre tutta la stagione, fare voli transoceanici e giocare partite con avversari con un diverso livello di forma?
Ha ragione, ragionissima, Van Gaal, che coinvolto in questi giri con il suo Manchester United ha tuonato: "Bisogna viaggiare molto, ci sono troppi voli, i giocatori devono adeguarsi al fuso orario. Non è l'ideale nel corso di una preparazione".
Ma a comandare è solo il dio denaro, per qualche milioncino si va anche in capo al mondo. Si pensa a costruire in modo sensato una squadra vincente, allenarla bene e promuoverla a forza di vittorie, o a far cassa il più possibile? Evidente la risposta.
E' chiaro che vale più un guadagno ora, che un successo domani. 
E' tutto marketing. L'Inter ha cambiato i colori sociali, con una nuova prima maglia più nera che nerazzurra, il Napoli ha una strana maglia di riserva mimetica, il Milan nella seconda ha uno stemma che non ha più il logo storico della società. In Spagna il Cultural Leonesa ha disegnato lo smoking sulla divisa e il Lugo non ha una maglietta in pratica, ma un grosso boccale di birra. In onore allo sponsor.
Ah, e la Serie A ha recentemente aperto al quarto sponsor sulla maglietta. Quello da piazzare dietro, sotto il numero. Tanto per gradire. 
Questo è il nuovo attaccamento alla maglia. L'attaccarci sopra colori e sponsor senza rispettare la tradizione. 
E ci dicono pure che i tifosi apprezzano, che dietro ci sono studi di brand, marketing, gusti e quant'altro. Alè. 

mercoledì 23 luglio 2014

L'INGHILTERRA DEGLI ALTRI

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L'addio alla propria Nazionale di un monumento come Steven Gerrard senza aver mai raggiunto neppure una semifinale di Europei o Mondiali, fornisce l'occasione di una riflessione sul calcio inglese.
La generazione dei Rio Ferdinand, Frank Lampard, David Beckham, Michael Owen e Wayne Rooney non è mai riuscita ad arrivare in fondo a nessuna competizione per nazionali.
Eppure il talento c'era, e a livello di guida tecnica ci si è aperti anche a mister stranieri, mai superando però la tagliola dei quarti di finale. Dalle semifinali dell'Europeo di casa del '96 raggiunte con Terry Vernables, ci si è affidati a icone inglesi come Glen Hoddle, Kevin Keegan, McClaren e Roy Hodgson e a santoni stranieri come Eriksson e Capello, ma nulla. Non si è usciti dalla mediocrità.
E paradossalmente, mentre la Nazionale colava a picco, la Premier League è cresciuta in maniera esponenziale a livello di attrattività, competitività, investimenti stranieri, marketing e quant'altro.
Stadi all'avanguardia, proprietà estere e squadre di seconda o terza fascia con una potenza economica che le nostre big si sognano.
Allora, perchè la nazionale dei Tre Leoni non funziona?
In Inghilterra il mercato dei calciatori extracomunitari deve sottostare alla concessione del "permesso di lavoro", ossia il giocatore che si trasferisce deve aver disputato almeno il 75% delle ultime gare della propria Nazionale. Tale escamotage ha il fine di portare in Premier solamente atleti definiti "indispensabili", e quindi, si presume, di alto profilo tecnico.
Ma questa forma di "protezionismo" si scontra con un altro dato: solo il 32% dei calciatori della massima divisione inglese è convocabile in Nazionale, percentuale che crolla al 28% considerando le big del campionato. 
Insomma, nel campionato inglese giocano pochi inglesi. In questi anni spesso ci siamo trovati nell'Inghilterra ruoli ultra coperti e ruoli scopertissimi, senza nessun interprete degno (basti pensare al ruolo del portiere). E in più allenano pochi britannici: Wenger, Mourinho, Martinez, Pellegrini, VanGaal, Koeman, Poyet, Pochettino sono stranieri. E sono il 40%.
Gli inglesi hanno inventato il calcio, ma ora soffrono di troppa esterofilia. I dati sono chiari, pochi giocatori e pochi allenatori propri nel proprio campionato. E questo genera poco talento e difficoltà di maturare un chiaro "gioco all'inglese". 
Pep Guardiola ieri ha dichiarato: "Bisogna avere idee proprie, crederci e portarle avanti". Ecco, la Premier League si è farcita di idee di altri, giocatori di altri e mister di altri. E le magrissime figure della Nazionale ne sono solo una naturale conseguenza.

martedì 22 luglio 2014

GOMBLOTTOOOO

Immagine tratta da autosprint.corrieredellosport.it
Autosprint lancia la bomba. Alonso si è fatto sentire in quel di Stoccarda, alla Mercedes, tanto per vedere la reazione, la situazione. Per tastare il terreno.
Tenendo in stand-by l'offerta Ferrari del rinnovo. Per il quale ha sparato una cifra ben più alta dell'attuale. E Nando nell'accordo attualmente in essere, avrebbe pure una clausola di svincolo in caso Maranello non raggiunga almeno il 3° posto costruttori.
Bum. Apriti cielo.
Allora è tutto chiaro.
Complotto!
Ecco perchè Alonso a ogni intervista post qualifica e post gara sottolinea il risultato di squadra, la posizione in classifica costruttori. E sottolinea la differenza con Mercedes, Williams e RedBull, quasi fosse più interessato a quella graduatoria piuttosto a quella piloti.
Sotto sotto gufa!
Anzi!
Raikkonen va piano, pianissimo perchè è sabotato. Ha una macchina peggiore di quella di Nando (come se si potesse). Per non andare mai a punti. E strategie sbagliate a ogni gara per farlo finire sempre oltre la 10a piazza.
E tutto questo sotto la regia carbonara di Santander, potente sponsor di Alonso e della Ferrari. Quello che pagò un anno Kimi per non correre, pur di piazzare Fernando sulla Rossa. E Emilio Botin-Sanz de Sautola y Garcia de los Rios (nome lunghissimo tipico del cospiratore) gran capo della banca spagnola, è sempre più spesso ai box Ferrari. 
E' chiarissimo. 
Tutto finalizzato a non arrivare nei primi 3 dei costruttori, per salutare la compagnia del Cavallino e andare alla Super Mercedes! Avendo pure più o meno ragione e uscendone rafforzati, avendo bastonato Kimi.
E l'ultimo indizio chiarisce pure la crisi di Raikkonen. L'ingegnere di macchina di Raikkonen si chiama Spagnolo. Spagnolo, capite??? Spagnolo, come Alonso, come Botin, come la Santander!
Ecco, scoperti!
Complotto, complotto, gomblottooooooooooo!

INFORTUNI ALLEGRI

Immagine tratta da juventus.com e modificata su befunky.com
Arriva Morata, strette di mano, frizzi e lazzi. Tutti felici, va in campo e...crac.
Rotto. Trauma distorsivo al ginocchio sinistro. In attesa di ulteriori esami, si parla già di 30-40 giorni di stop.
Sfortunato Allegri eh?
Uhm, Allegri. Già, anche al Milan un sacco di infortuni sotto la sua gestione. 
Nel 2011/12 si contarono qualcosa come 71 degenti nell'infermeria rossonera. La colpa venne dirottata sullo sprint scudetto, molto stressante a livello fisico. Nel 2012/13 nelle primissime partite dell'anno salutarono la compagnia Pato e Robinho stirati ad agosto e Montolivo k.o. a settembre. E nella scorsa stagione? Ricordate il ritorno di Kakà? Esordio per 70' con il Toro e problema muscolare che lo tenne fuori un mese. A metà settembre il buon Max contava già 10 sventurati alla voce "infermeria".
Anche Seedorf, appena subentrato dichiarò di aver ereditato una squadra in "non buone condizioni fisiche".
Negli ultimi anni al Milan hanno avuto infortuni lunghi o fastidiose ricadute, un gran numero di calciatori: Boateng, Flamini, Pato, Robinho, Bonera, DeJong, Muntari, ElShaarawy, Silvestre, DeSciglio, Abate, Abbiati, Montolivo, Pazzini. 
Acciacchi piuttosto pesanti e frequenti, a volte di natura muscolare, ma anche di natura traumatica, tutti capitati sotto la guida del mister livornese.
Arrivati nonostante la presenza del celebre "MilanLab", struttura che dovrebbe costantemente monitorare le condizioni dei calciatori e ridurre al minimo il rischio di infortuni.
Emblematica la sequenza di guai muscolari capitati a Pato, che passò in poco tempo dallo status di "ragazzo prodigio" a quello di "desaparecido".
E ora, alla Juventus, pronti via, e già Morata va k.o. dopo pochi allenamenti.
Possibile che sia solo sfortuna questa di Allegri o, a questo punto, ci sia qualcosa di errato nel modo di condurre la preparazione fisica (specie quella iniziale) da parte sua o del suo staff?
Molto spesso la maledizione degli infortuni è stata (paradossalmente) la salvezza del tecnico al Milan, un parafulmine con il quale difendersi dalle partenze a rilento in campionato, e dalle carenze di gioco degli ultimi tempi. Ma alla Juve non potrà e non dovrà essere così.
Sperando che il buongiorno non si veda dal mattino...

lunedì 21 luglio 2014

QUANDO LA RADIO SVELA IL TEAM

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.com e modificata su befunky.com
Ferrari. Due flash.
Monza 2013. Alonso alle prese con l'ultima manche delle qualifiche. Si tenta la strategia di prendere la scia di Massa per guadagnare qualche decimino. Qualcosa va storto, Nando sbotta alla radio, diretto al box: "Veramente siete dei geni, eh? Mamma mia ragazzi miei". Tono decisamente arrabbiato e sarcastico. Toppe versioni zoppicanti a fine prove per minimizzare il tutto, condito da una misteriosa assonanza "dei geni/dei scemi", che non ha assolutamente migliorato la situazione.
Hockenheim 2014. Raikkonen, il lento Kimi. Gomme andate, Iceman si rivolge al suo ingegnere di macchina Antonio Spagnolo: "L'anteriore sinistra è davvero messa male. La macchina non riesce a girare. Dobbiamo fare il pit-stop". L'ingegnere risponde: "Abbiamo bisogno di altri quattro giri", al che Raikkonen sbotta, alzando la voce: "Dobbiamo fermarci, dobbiamo fermarci!" e rientra ai box. 
C'è qualcosa che non va. 
Associamo questi due episodi. Cosa emerge? A Monza 2013, Alonso si sfogò pesantemente, facendo intendere che si era sbagliata la strategia. Idem a Hockenheim, quando a un Raikkonen che chiede di rientrare al box (e perdeva 4 -e dico 4- secondi al giro), viene risposto di star fuori altri quattro giri. 
Manca fiducia. Nell'episodio di Alonso, è mancata la fiducia verso il muretto box e la sua strategia per le qualifiche. E nella situazione di Kimi, è palese come il pilota non venga ascoltato dal proprio ingegnere, che, quasi ignorando il piccolo dettaglio dei tempi al giro e del "non riuscire a girare", gli chiede di stare in pista altre 4 tornate. Come se non ci fosse fiducia nel pilota, in ciò che dice.
C'è un punto di domanda enorme nel rapporto ingegneri di macchina/piloti.
Un anno dopo è giusto rileggere lo sfogo di Alonso, a primo impatto veramente antipatico.
La Ferrari è lenta nel telaio, nella meccanica, nell'aerodinamica, nel motore, in Kimi, ma anche nella squadra, nelle strategie, e nel riuscire a tradurre in pista il volere dei piloti.
Siamo all'anno zero. Vanno bene solo Nando (che riuscirebbe a guidare anche un ferro da stiro) e i cambi gomma. Il resto è un disastro. E la mancanza di fiducia tra piloti e ingegneri è un campanello d'allarme enorme. 
Si può sviluppare una macchina in una situazione del genere? E la risposta è che la macchina non ha sviluppi significativi durante la stagione da anni. Si può essere una squadra, una vera squadra, senza fiducia? 
E forse il problema di Kimi sta qui. Nella sua squadra di ingegneri. Perchè non è possibile che dopo 10 gare, sia ancora alle prese con una vettura inguidabile, con le bloccatine sull'anteriore e quant'altro. E' esperto, è un Campione del Mondo. Possibile che la sua squadra non sia riuscita ad aiutarlo per niente dopo quasi sei mesi?

domenica 20 luglio 2014

F1 DIARY. TAPPA 10. GARA

Immagine tratta dal profilo Twitter di Marca. Modificata su befunky.com.
Diario F1. Tappa 10. Hockenheim, Germania. Gara.
Rosberg vince sul velluto. Bottas secondo meritatamente. Hamilton rimonta facile facile come previsione, ma nel rush finale con il finnico della Williams non riesce ad avere la meglio e chiude 3°, da 20° che era partito. Ora però è a -14 da Nico.
Tutti bravi, bello spettacolo in pista.
Grandi lotte anche per Ricciardo, Vettel, Nando e pure Kimi. Tutti a fare a botte come se non ci fosse un domani, far west puro.
Chiedete a Raikkonen, preso a sandwich due volte. Con botte subite da Hamilton e Vettel, che gli han accartocciato pezzi di macchina. Come se già non avesse abbastanza problemi di suo.
La Ferrari al solito a distanze siderali dalla vittoria. 
Ma le strategie chi le fa? Raikkonen lasciato in pista con gomme sfasciate che è costretto a ordinare lui (!) al suo ingegnere di cambiarle, quando quest'ultimo gli diceva di resistere altri 4-5 giri.
E così con Fernando, con la solita gara fantastica era in lotta per il podio con Bottas e Vettel. Poi sbèm, arriva la strategia. Anche lui lasciato in pista con crono superiori di 4-5 secondi alle vetture concorrenti. Torna in pista dietro, deve rimontare e alla fine quei 7-8 secondi che lo separano da Seb sono stati quelli persi dalla strategia. 5°.
La pioggia non è arrivata, ma la capòte si. Massa si ribalta in partenza, con la gentilissima partecipazione di Magnussen. Il danese della McLaren è già la terza volta che in partenza tappa la vena e fa a sportellate. Kimi ne è stato entrambe le volte protagonista a inizio stagione. Si calmi un po'.
E Massa, beh aspettiamo il Gp di Lourdes per vederlo a podio.
Poi tornando alla Rossa. La macchina non va. Ok. Raikkonen è lento. Ok. Ma sbagliare pure le tattiche ai box, vuol dire pallone totale per tutti.
E Kimi ha preso botte e rotto l'alettone. Non gli è stato sostituito. Perchè? E ancora, come è possibile che fermandosi un giro dopo Nando, con pneumatici identici, girasse 1 secondo/1,5 secondi più lento? E bloccando l'anteriore a ogni giro o quasi. Da vari Gp. Può esser diventato scarso? Così scarso? Ha ereditato la squadra degli ultimi anni di Massa. Che non riusciva a mettergli la macchina apposto. E che ora non riesce a mettere la macchina apposto per lui.
E allora manca anche la Squadra.
Bel problema.

LA CARTA ZEMAN

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E' l'anno giusto per calare la carta Zeman.
Vuoi per il nuovo corso targato Giulini, vuoi perchè il livello della Serie A sta clamorosamente calando, specie dalla decima posizione in giù. Lo scorso campionato è stato una pena, guardando al calcio giocato dalle cosiddette "pericolanti". E facciamo pure i nomi: Livorno, Bologna, Catania, Chievo, Cagliari. E' bastato poco per salvarsi, il Sassuolo ha giocato un po' bene dal ritorno di Di Francesco e tanto ha consentito di mantenere la categoria. 33 punti erano sufficienti per restare in A.
Il Cagliari si è salvato esprimendo un calcio brutto. Lento, orizzontale. Per svariate partite non si è tirato in porta. Si partiva battuti, non si è mai sfruttato il potenziale offensivo dei vari Sau, Ibarbo e Pinilla. 
I "grandi vecchi" dello spogliatoio sardo son sembrati vivere di rendita rispetto agli anni precedenti. Il 4-3-1-2 ben sfruttato da Ballardini, Allegri e Donadoni è scemato via via passando nelle mani di Ficcadenti, poi Lopez e ancora Pulga. Senza nerbo, si è giochicchiato, imboccando serie positive e serie negative di risultati, senza un preciso senso o merito. In balìa del vento e degli eventi. 
Il rischio Zeman si può correre. Il 4-3-1-2 stava morendo di morte naturale, spegnendosi man mano. Sempre peggio. Rischiando sempre di più la Serie B.
E se di morte naturale tristi e rassegnati si doveva morire, allora meglio un infarto quando si sta sorridendo, magari dato proprio dal modo di giocare del boemo.
Si giocherà per fare un gol, per fare una rete più degli avversari. Finalmente, perchè nell'ultimo biennio si entrava in campo e si aspettava. Non si sa bene cosa.
Vedremo giocatori che correranno (incredibile ripensando alle ultime gestioni), che verticalizzeranno, che attaccheranno all'arma bianca e che subiranno un bel po'. Se devi salvarti, tanto vale farlo con i fuochi d'artificio e risultati eclatanti, in bene e in male. Meglio degli sbadigli e della noia atroce, tristi compagni di viaggio degli ultimi campionati.
E ben vengano i giovani. Zeman potrà essere criticato e potrà stare antipatico, ma di certo gli si riconoscerà che non ha paura di lanciare ragazzi. Abbiamo visto Larrivey, Cabrera, Nenè, Oikonomou, Avelar, Eriksson, ThiagoRibeiro, Ibraimi. 
Peggio di così non sarà di certo. 
E tre squadre che ti arrivano dietro in questa povera Serie A si possono trovare, pure con Zeman e il suo integralismo.

sabato 19 luglio 2014

F1 DIARY - TAPPA 10, QUALIFICHE

Immagine tratta da travinha.com.br e modificata su befunky.com
Diario F1. Tappa 10, Hockenheim, Germania. Qualifiche.
Senza Fric, Nico suona la nona in carriera. Rosberg in pole nella gara di casa. Hamilton fa un botto nel Q1 per problemi ai freni e partirà 16°, anzi 15° per la penalizzazione di Gutierrez, anzi dai box per sostituire il cambio. Nico è regolare come un orologio, sempre lì. Con quel sorriso da Di Caprio nella buona e nella cattiva sorte, che sta facendo diventare nero Hamilton. 
Le Williams si avvicinano, merito del Fric? Della pista? Non si sa, ma Bottas è a 2 decimini, secondo e Massa terzo, a mezzo secondo. Le Red Bull ieri parevano avere un gran passo, ma le lattine preferiscono il fresco, si sa, e monopolizzano solamente la terza fila.
La costante è Ricciardo che regola Vettel con tre decimi. I soliti, aggiungeremmo.
Come soliti sono i 4 decimi tra Alonso e Raikkonen, che segnano la differenza tra il passaggio in Q2 e Q3. Vedere un giro di Kimi (12°) nel cameracar mette quasi tenerezza, tutto un bloccaggio, mille correzioni, una lotta. Probabilmente correggeva meno le traiettorie nei rally. Per la quarta volta abbandona il gruppo in Q2. Triste.
Alonso batte e si sbatte, ma più di settimi non si va, per la terza volta in qualifica in stagione.
Morale: cercare di mettere alla gogna Alonso per le frustrazione da astinenza di vittorie e ammiccamenti vari, o Raikkonen, oggettivamente alla peggiore stagione in carriera, è come indicare la Luna e guardare il dito.
23 gare senza una vittoria della Ferrari. Alonso, Massa o Raikkonen che sia. 
Si metta in pista una vettura all'altezza intanto, e i piloti diventeranno un dolce quesito.
Bella la qualifica di Magnussen un talento a sprazzi, a volte affonda a volte si evidenzia. Domani scatterà 4°. 
Polpopol col casco: "Domani non pioverà, stando a quanto dicono i miei tentacoli. Vince Rosberg facile, anche se in partenza verrà bruciato da Bottas. Hamilton farà il fenomeno e arriverà terzo. Quindi podio Ros-Bot-Ham. Alonso 9°, Raikkonen 12°. Alè".

P.S. Essendo un diario, ci appiccico le foto di Schumacher. Come da piccolo. Perchè f1 fa rima con Schumacher. Lassù Suzuka 2000. Astinenza da Mondiale di anni 21. #KeepFightingMichael.

BOMBOLETTA TOP PLAYER

Immagine tratta da subitonews.com e modificata su befunky.com
L'abbiamo visto ai Mondiali, è fortissimo sui calci piazzati, in particolare sulle punizioni e ha un ottimo rapporto con gli arbitri.
E uno così non poteva che sbarcare nel campionato italiano al termine della Coppa del Mondo.
Parliamo di Bomboletta, il Top Player che sbarca nella nostra Serie A al termine di una rassegna iridata trionfale.
Perchè altro non ci si può permettere, oltre alla bomboletta per delimitare barriere e spazi di battuta dei calci piazzati.
Pochi soldi, spesso mal spesi, e nessun big nel pieno della carriera che arriva in Italia. Ormai sta diventando un'abitudine. Abitudine che si sta consolidando talmente, che il termine "top player" che furoreggiava sulle prime pagine dei quotidiani e sulla bocca di opinionisti e calciofili comuni, è sparita. Dissolta, come mai esistita. Abbasso i voli pindarici. 
Nessuno più parla di top player per il mercato. 
E d'altronde ci vorrebbe coraggio a parlarne, se si sfogliano le tabelle di calciomercato alla voce acquisti delle big troviamo: parametri zero ultratrentenni, giocatori in divenire, progetti di fuoriclasse e nessun campione globalmente riconosciuto.
Leggiamo di Brillante, Tatarusanu, Octavio, un Vidic che va per i 33, Dodò, M'Vila, Coman, Evra 33enne, Morata, Parolo, Djordjevic, Basta, Menez, Alex che di primavere ne conta 32, Agazzi, Koulibaly, Michu, Ashley Cole che a dicembre ne fa 34, Emanuelson, Ucan, Keita (34), Iturbe. 
22 nomi. Quasi tutti stranieri. 
Più facile trovare Flop Player piuttosto che Top Player. Di sicuro la maggioranza sono Rat-top Player, quando la realtà si scontra con i sogni di mercato. E qualcuno è anche Zop-player, fisicamente non troppo integri, vuoi per infortuni o età e lasciati partire senza troppi rimpianti.
Il calcio italiano ha bisogno di riforme, una su tutte: tutelare i calciatori nazionali dall'ondata di Trop-Player stranieri, mettere un tetto al loro ingresso, o alla loro presenza nell'undici titolare. Dopo due disfatte Mondiali così fragorose, è necessario che ogni riforma, ogni testa pensante (e qua si va con il lanternino a trovarne una che ponga l'interesse Nazionale davanti a quello economico) in Federazione e Lega Calcio, si focalizzi su come preservare il talento italiano. Una sorta di protezionismo nazionale calcistico.
Perchè se l'Argentina e l'Atletico Madrid dimostrano che anche senza 11 Top Player a volte puoi arrivare in finale nelle competizioni che contano, è anche vero che entrambe sono rimaste a mani vuote, a fronte di colpi di classe risolutivi dei campioni tedeschi e del Real Madrid, talmente erano tanti.
I Top Player servono. Non si hanno soldi per acquistarli? Ok. Allora si vada a crearli in casa. Italiani. Questa deve essere la linea guida. 
Con la speranza che i nostri calciatori diventino Top Player anche mentalmente e che, alla vista della bomboletta in campo, non pensino di utilizzarla per darsi una rinfrescata alla cresta ossigenata per un selfie da inviare sui social!

venerdì 18 luglio 2014

I COCCI DEL MATRIMONIO

Immagine tratta da ilblogdialessandromagno.it e modificata su befunky.com
Ancora Conte-Juventus. Perchè quando il matrimonio finisce, più o meno consensualmente, è il momento dei cocci.
Spuntano retroscena (quanto credibili?) di una volontà di Conte di passare al Milan nel maggio scorso, di una campagna acquisti non all'altezza delle aspettative del tecnico e attualmente semivuota (Evra e Morata), di un mister svogliato, senza stimoli e quant'altro.
Dunque meglio lasciarsi, se l'entusiasmo non è più quello dei tempi migliori, se gli sguardi dentro la casa (juventina) si fanno improvvisamente torvi.
Ma da questo matrimonio finito, chi ci ha guadagnato di più? Antonio Conte o la Juventus?
Il tecnico leccese arrivò alla Juve nel 2011 da tecnico emergente, con un palmares di due promozioni in A (Bari e Siena), un cocente esonero all'esordio (da subentrato) nella massima serie con l'Atalanta, e una retrocessione viziata da penalizzazione ad Arezzo. 
Annotiamo come raggiunta la A con il Bari e con il Siena, Conte abbia lasciato entrambe le squadre. Una volta che raggiunge il massimo, molla. 
Vuoi per incomprensioni con la dirigenza per il rafforzamento (così a Bari e forse a Torino), o per altre offerte ricevute (come a Siena). Ma è già la terza volta.
E la Juventus di Agnelli e Marotta dove stava prima di Conte?
Stagione 2010/11. Viene scelto Gigi Delneri in panchina. Sarà un deludente 7° posto. Per nulla soddisfacente considerando anche certi investimenti, su tutti i 12 milioni per Martinez e i 15 per Krasic (che dopo un bagliore iniziale, scomparve in una parabola degna di una meteora calcistica), ma anche i 15,5 per Bonucci, 5 per Motta, 10 totali (tra prestito e riscatto) per Pepe, 14,5 per Quagliarella, 18 (tra prestito e riscatto) per Matri a gennaio. Un passivo notevole, in virtù di 30-35 milioni incassati dalle varie cessioni. 
Una dirigenza che usciva con le ossa rotte da una stagione fallimentare. 
E poi l'incontro con Conte, il colpo di fulmine. Si intuiva la grandezza dell'accoppiata anche solo dalla gara d'esordio. Juventus-Parma 4-1 allo Juventus Stadium con un gioco e un possesso palla da stropicciarsi gli occhi.
Ora restano i cocci.
Da una parte Conte, che ha più volte sottolineato la grandezza del proprio lavoro nel triennio juventino, confortato da risultati clamorosi in campo nazionale.
Dall'altra la dirigenza bianconera, che ha supportato il tecnico e costruito una squadra nei 3 anni che è andata a scovare talenti come Pogba e Vidal, che attualmente valgono oro e parametri zero come Pirlo e Llorente, pilastri delle vittorie. 
Ma Conte senza la Juventus, sarebbe arrivato al tris di Scudetti?
E la Juventus senza Conte, avrebbe scritto la storia del calcio italiano negli ultimi 3 anni?
Chi era il coniuge più forte? Il tempo fornirà le risposte.

giovedì 17 luglio 2014

IL CUORE E L'AZIENDA

Immagine tratta da tuttosport.com e modificata su befunky.com
In 24 ore si capovolge tutto. Da Conte a Max Allegri. Video su YouTube, conferenza stampa, primo allenamento. E via alla stagione della Juventus. Con Allegri.
E' un risveglio brusco quello dei tifosi della Vecchia Signora, ancora increduli per tempistiche e modalità d'addio del loro condottiero. Vaghe frasi quelle pronunciate da Conte, "sensazioni", "stimoli", niente di sufficientemente chiaro. Niente che potesse tramutare la conferma di metà maggio, nell'addio di mezzo luglio.
Ora Allegri. Max l'"aziendalista". Quello che restò al Milan dopo un 1° e un 2° posto, nonostante avesse perso tra cessioni milionarie, ritiri e svincoli improvvidi i vari Nesta, Thiago Silva, Zambrotta, Aquilani, Gattuso, Seedorf, Van Bommel, Cassano, Ibra, Inzaghi, Pato. Quello che non abbandonò la nave dopo che il Presidentissimo Silvio lo apostrofò con un simpatico "No el capisse un ca***", e galleggiò con uno spogliatoio in rivolta negli anni.
Max non chiede di blindare i suoi campioni, non chiede la Luna in fase di mercato. Fa il sarto con la stoffa che ha in casa. Ha i suoi punti di forza e i suoi contro.
Spesso ha inventato ruoli, come Boateng o Nocerino sulla trequarti, e ha lanciato per mezza stagione stellare El Shaarawy. Ha campato un girone intero con Niang titolare. Ha battuto pure 2-0 il Barcellona di Guardiola in Champions. L'arrivo di Balotelli ha coinciso con il suo definitivo tramonto al Milan, tattico e gestionale-professionale. Da quando SuperMario ha calcato i campi di Milanello, addio bel gioco. L' ingombrante presenza del suo classico equivoco tattico, ha mandato a monte qualsiasi idea di gioco (si cerchi negli annales una squadra che riesce a sviluppare un bel gioco d'attacco con Balotelli in campo).
Prima e dopo di lui al Milan solo gente che non aveva mai allenato (Leonardo, Seedorf, Inzaghi).
Il contro maggiore di Allegri è stato il rapporto, pessimo e conflittuale, con i Grandi Vecchi dello spogliatoio rossonero, più volte emerso in libri, interviste e dichiarazioni ufficiali e ufficiose. Che nell'estate 2012 abbandonarono il Diavolo in massa. Gli stessi con cui, però, vinse anche uno Scudetto all'esordio.
Max è chiara espressione dell'azienda Juventus. Di gestori (Agnelli e Marotta) che cercavano un profilo non troppo esigente, diverso da Conte, che non creasse troppe aspettative nei tifosi e che fosse un tassello, una costola filo-dirigenziale. Non deve piacere a tutti, ma vincere.
Conte era il cuore bianconero, era quello che si schierava strenuamente contro le cessioni dei suoi gioielli, quello che voleva sempre alzare l'asticella della competizione, quello che lo Scudetto non bastava, quello dei 102 punti. Quello che in questa lista della spesa per cambiare modulo in un 4-3-3 aveva inserito nomi come DiMaria, Sanchez, Iturbe.
Max è quello che quando arriva fa aprire i giornali su Candreva, Savic, Astori e Pastore, tanto per intenderci. 

mercoledì 16 luglio 2014

FENOMENOLOGIA DELLE DIMISSIONI

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dimissióne s. f. [dal lat. dimissio -onis (der. di dimittĕre «mandar via, licenziare»); nel sign. 1, sull’esempio del fr. démission]. – 

1. Nello sport: il dimettere o il dimettersi da un impiego, da una carica; per lo più al plur.: presentare (burocr. rassegnare) le d.; lettera di dimissioni;accettare, respingere le d. Le dimissioni, se volontarie, costituiscono un recesso unilaterale del prestatore di lavoro dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Solitamente accompagnate da un corale: "Ooooh" e da frasi del tipo: "In un paese dove tutti sono attaccati alla poltrona, le d. sono un atto apprezzabile e coraggioso bla bla bla bla".
Esistono vari tipi di dimissioni: le d. agghiaccianti sono le d. che arrivano sul tavolo del Presidente della Juventus a metà luglio, esattamente due mesi dopo la riconferma. Un es. di questo tipo di d. sono quelle di Antonio Conte, arrivate all'inizio della preparazione estiva. Sono volte a destabilizzare l'ambiente societario e il mercato. Sono le d. più difficili, perchè solitamente inaspettate e arrivano dopo 3 anni di sonori successi. E lasciano stupiti.
Le d. moralizzatrici sono le d. che arrivano dopo l'eliminazione nei gironi del Mondiale e dopo aver perso con squadre del calibro di Costa Rica e Uruguay senza mai tirare in porta. Arrivano solitamente a caldo, a sconfitta appena avvenuta, e vi si adducono motivazioni del tipo: "Hanno voluto farci passare come ladri", aggiungendo farneticazioni come: "Ci hanno accusato di rubare soldi ai contribuenti" e deliri sul pagare le tasse. Es. le dimissioni di Cesare Prandelli, con finalità moralizzatrici. Tanto moralizzatrici che dopo 13 giorni ci si presenta al Galatasaray come nuovo allenatore. Salvo mangiarsi le mani altri 11 giorni, vedendo libera la panchina della tanto amata Juve.
Le d. a ruota sono le d. che vengono rassegnate appena 5 secondi dopo le d. di qualcun altro. Con lo scopo di passare in secondo piano e nascondere le proprie colpe, passando quasi in silenzio rispetto a quelle più importanti. Un es. sono le d. di Abete, arrivate immediatamente dopo quelle di Cesare Prandelli. Abitualmente accompagnate da un falso: "Avevo deciso le d. comunque prima della spedizione per il Brasile".
Ci sono anche le d. ritardate da umiliazione cocente. Avvengono dopo aver perso sonoramente il Mondiale di casa, incassando 7 reti in semifinale e 3 nella finalina. Sono d. tardive, in quanto sarebbero dovute essere rassegnate alla fine del primo tempo di Brasile-Germania. Capostipite di queste d. è Felipao Scolari, allenatore del Brasile più brutto del secolo.
Le d. dimissionate da crisi rossa da risultati in rosso sono quelle in cui il Team Principal di una Scuderia di F1 con sede a Maranello, viene garbatamente invitato a tale gesto. Si fa rotolare la sua testa in nome di un Mondiale che non arriva da anni 6. Es. Stefano Domenicali che rassegna le d. dalla Ferrari e sparisce dalla circolazione in un nanosecondo.
Le d. fasulle sono quelle di un Presidente di una squadra di calcio che decide di dimettersi, ma che continua a comandare. Sono insensate. Atti plateali senza alcun reale demansionamento. Esempi di questo tipo di d. sono Ghirardi del Parma, Zamparini del Palermo e Cellino e Moratti quando furono alla guida di Cagliari e Inter.
Infine esistono anche le d. impossibili. Dette anche "dimission impossible". Dove si fa carte false per avere un calciatore alla guida della propria squadra a metà stagione, lo si prende strapagandolo, lo si delegittima a più riprese, e a fine campionato lo si lascia 1 mese in ghiacciaia flirtando con un nuovo tecnico, con lo scopo di farlo dimettere. Tali dimissioni non verranno mai rassegnate e verranno messi in campo, dall' auspicato dimissionario, gli avvocati migliori del mondo al fine di scucire alla dirigenza danni materiali, morali, assieme al lauto stipendio per altri due anni. Il caso più eclatante è quello di Clarence Seedorf e il Milan.

martedì 15 luglio 2014

LA SOSTANZIALE DIFFERENZA

Immagine tratta da blog.you-ng.it e modificata su befunky.com
C'è una sostanziale differenza.
1996, 1997, 1998, 1999 gli anni di Michael Schumacher alla guida della Ferrari senza riuscire a vincere il Campionato del Mondo piloti.
2010, 2011, 2012, 2013 gli anni di Fernando Alonso al volante della Rossa senza aver vinto il Mondiale.
Nel 1997 e 1998 Schumi arrivò a giocarsi il titolo sino all'ultima gara, perdendo contro Villeneuve e Hakkinen. Alonso nel 2010 e nel 2012 è stato battuto, sempre all'ultimo round da Vettel.
Ma c'è una sostanziale differenza. Negli anni di Schumacher alla rincorsa del titolo c'era un disegno epico, una testardaggine nel volerci provare e riprovare degna di una grande storia d'amore. In quelli di Alonso ad ogni sconfitta sono volate teste, in un tourbillon di capi al muretto, tecnici delle strategie, progettisti, motoristi e quant'altro. Con il rumore della ghigliottina sempre pronto a scattare in sottofondo.
L'asse di ferro Brawn-Byrne-Todt-Schumi ha resistito ed è ripartito da ogni sconfitta. Più forte, più squadra. Nel quadriennio di Alonso si son alternati Domenicali, ora sostituito da Mattiacci alla guida del team, Aldo Costa e Marmorini ai motori (invitati a cercarsi altra occupazione), prima Tombazis e ora Allison al disegno della vettura, Baldisserri e Chris Dyer al muretto, esonerati senza complimenti. In un orgasmo da esoneri e sostituzioni proprio del calcio.
Con Michael si scrivevano pagine epiche, e le pagine più belle e memorabili si sono scritte proprio nei quattro anni delle sconfitte.
Nel 1996, con una vettura veramente brutta, da 1 secondo in prova dalle Williams, 3 clamorose vittorie, a Barcellona sotto il diluvio universale, a Spa e a Monza.
Nel 1997 quando, ancora inferiori alla creatura di Newey, ci si giocò il Mondiale all'ultima gara, sino al giro 48. A Jerez, dove Schumi mostrò il suo lato umano, cercando di fermare il sorpasso di Villeneuve con un botto scorrettissimo, ma che avrebbe potuto regalargli il Mondiale. Un botto che alla fine ogni tifoso Ferrari avrebbe fatto, vedendo quanto Jacques era troppo più veloce in quella gara. Ah, se solo ad Abu Dhabi 2010, anche solo per frustrazione, Nando avesse dato una botta a quella lumaca russa di Petrov...
E il '98? Di nuovo una macchina superiore di 1,5 secondi, la McLaren di Newey (ancora!). E ancora incredibilmente a giocarsela all'ultimo start, a Suzuka. Con Michael che dall'emozione clamorosamente cannò la partenza, alzando il ditino per indicare di aver spento il motore. E partenza ultimo, e rimonta furiosa, e gomma scoppiata quando era 3°. 
Nel 1999 l'incidente di Silverstone, la gamba rotta, il ritorno in Malesia zoppicante al servizio di Irvine, sempre più veloce di tutti anche se infortunato.
Sono state le sconfitte, più delle vittorie a legare Michael Schumacher alla Ferrari. Sono stati anni epici, memorabili. Ogni gara vinta era un'impresa: di guida, di strategia, di tattica. Ci aprivano i telegiornali.
Imm.tratta da youtube.com, mod. su befunky.com
A ogni sconfitta di Alonso in rosso volano gli stracci, parte la caccia al colpevole e alla testa da tagliare. Con Schumi c'era una squadra, un'unità di intenti. Con Alonso tutti sembrano al servizio del pilota migliore, con il pilota più forte della squadra. E la squadra che sembra ogni volta scusarsi con Nando per non avergli dato la macchina migliore.
Guidare per la Ferrari è un'altra cosa.  
Lo sapeva Schumacher, che non ha mai fatto una dichiarazione contro la Scuderia, sempre difeso nei suoi errori (e ne faceva più di Nando, ammettiamolo) da Todt. E che copriva le lacune della macchina con veri e propri miracoli di guida, aiutato dalle tattiche perfette ideate dal geniale Ross Brawn.
E quel motore in fumo a Suzuka nel 2006, nella rincorsa Mondiale proprio ad Alonso, ha messo il punto esclamativo su una nuova sconfitta, accettata con serenità proprio da Michael, che andò a salutare ad uno ad uno tutti gli uomini Ferrari ai box. Senza dargli degli idioti via radio, o sbraitare perchè proprio nella gara decisiva il motore si era cotto. 
C'era una sostanziale differenza. Prima la squadra, poi il pilota. 
Alla Ferrari è sempre stato così.