lunedì 31 marzo 2014

POCHEZZA CANAGLIA

Immagine tratta da cagliaricalcio.net e modificata su befunky.com
Il Cagliari 2013/14: un elogio alla pochezza
Il minimo sindacale per rimanere sulla linea di galleggiamento, 32 punti in 31 gare, in altri campionati saresti impantanato nei bassifondi, ma nella pochezza generale di questa lotta salvezza ti danno ben 8 punti sulla zona rossa.
E questo basta per sonnecchiare amaramente ogni partita.
Stiamo parlando di una squadra che in tutta la stagione ha fatto 0 e dico 0 vittorie esterne, 7 miseri punti. Un totale di 7 partite complessive vinte su 31 giocate, media una ogni quattro o cinque. E la pochezza è ben interpretata da Diego Lopez in primis, seguito a ruota da chi ha allestito una rosa con evidenti lacune.
Lopez è un clone di Ficcadenti. Poche balle. Riceve complimenti dai colleghi per come fa giocare la sua squadra. Ma evidentemente da chi non vede le partite. Ficcadenti ci propinava un 4-3-3 testardo, con un ritmo lento, lentissimo, pantofolaio, e palla che circolava tra difensori e centrocampo senza un barlume di idea di come farla arrivare alle punte.
Lopez insiste su questo 4-3-1-2 con ritmo morto, balneare, palla a Astori, Rossettini, Conti in eterno, e pochissimi tocchi delle punte, a dimostrazione che non si riesce ad innescarle.
Un dato in più a conferma di questa teoria, colto dal match meritatamente perso ieri 2-1 contro il Torino, sono 0 fuorigioco e 0 calci d'angolo. Sintomo che non si verticalizza mai. Si cerca di arrivare lenti nell'area avversaria. Questo può farlo solo il Barcellona, ma ha una precisione nei passaggi clamorosa, e in prossimità del portiere rivale però piazza delle vincenti accelerazioni micidiali dopo aver addormentato il gioco.
Ma qui di verticalizzazioni improvvise e accelerazioni non se ne parla.
A questo si associa una gestione della rosa a dir poco approssimativa e confusa. Murru e Sau esclusi misteriosamente una volta chiamati da Prandelli per uno stage, cosa peraltro successa sempre a Sau la scorsa stagione, dopo la prima chiamata in Nazionale. Umiliati addirittura con la tribuna. Ibarbo che ne gioca una sì e tre no. Il trequartista poi è un ruolo itinerante, coperto da Cossu, Ekdal, Vecino, Adryan, Ibraimi e Cabrera. Forse un po' troppi.
Piazzamenti difensivi imbarazzanti, marcature specie dei terzini difensivi sempre deficitarie da inizio anno. 
Ma in questa stagione la pochezza premia, basterà una vittoria nelle prossime sette per stare tranquilli, magari contro qualche squadra imbolsita dai 40 punti già conquistati.

POCHE GAMBE, ZERO GRINTA

Immagine tratta da gazzetta.it
Alla fine, la sconfitta è arrivata. Oltre un girone dopo, su un campo ostico e ostile, e con un vantaggio in classifica che permette di non preoccuparsi più di tanto. Ma è arrivata, ed è stata alla fine dei conti meritata e ineccepibile.
Al San Paolo di Napoli, la Juventus ha ufficialmente confermato il suo netto calo di rendimento e di tenuta atletica, mostrando limiti che qualche piccola preoccupazione devono destare in vista di questo finale di stagione. La squadra ha sofferto tremendamente contro un avversario che correva il doppio, pressava sempre e dovunque e in generale è apparso più affamato e più desideroso di vincere. L'assenza di Tevez è stata molto più pesante del previsto per l'attacco bianconero, con Llorente che ha evidente bisogno di tirare il fiato e Osvaldo vivace ma poco concreto. I veri segnali di debolezza sono arrivati però a centrocampo, con i tre interni incapaci di fare la differenza e di inventare una singola giocata importante e gli esterni, in particolare Asamoah, in sofferenza sui tagli e le accelerazioni improvvise degli avversari. Bisogna anche dire grazie a Gigi Buffon, più che mai in stato di grazia in questo periodo, autore di un paio di interventi davvero da applausi, decisivi per mantenere in equilibrio il punteggio più di quanto non abbia detto il campo.
Si era capito dall'inizio della partita che le premesse non erano buone, la rilassatezza e le sofferenze di fronte al pressing e alle ripartenze immediate dell'avversario ricordavano sinistramente il Quarto di Coppa Italia a Roma. Nell'ultimo mese, la Juve aveva già mostrato qualche segnale di calo, almeno per quanto riguarda la forma fisica ed il rendimento in campo. Sono arrivate vittorie importanti, seppur di misura, ma sempre soffrendo tremendamente e riuscendo ad avere la meglio grazie alla giocata del campione o con un po' di fortuna, o con entrambe le due cose. Contro Milan, Fiorentina, Genoa e Parma è andata bene, contro questo Napoli in versione monstre decisamente no. I partenopei, va detto, hanno fatto la gara della vita, una delle migliori da molti mesi a questa parte, e se anche si può discutere sul millimetrico fuorigioco di Callejon sul gol del vantaggio non si può negare che il loro successo è stato meritatissimo. Va anche aggiunto che un calo ci sta e che il ritmo imposto dai bianconeri a questo campionato (solo 9 punti persi in tutto il campionato per stasera) porta inevitabilmente a periodi in cui è necessario tirare maggiormente il fiato. Ciò detto, è difficile ricordare una Juve così molle ed incapace di mostrare una vera reazione in tutta la partita, se si eccettuano un maggior possesso palla e il baricentro più alto nel secondo tempo. Anche Conte ha lasciato un po' perplessi con i suoi cambi, visto che Pogba e Osvaldo non avevano certo giocato la loro miglior partita, ma Vidal e Llorente sembravano molto più meritevoli di una sostituzione.
Forse è il caso per un po' di dimenticare i tanti elogi ricevuti, i record possibili o già ottenuti e questi famosi 100 punti da conquistare, e tornare a concentrarsi seriamente su questi ultimi due mesi che concluderanno la stagione. Non c'è molto tempo per rifiatare e riordinare le idee, giovedì si va a Lione a giocarsi un importantissimo Quarto di Finale di Europa League. La Juve ha sempre tirato fuori il carattere dopo una brutta sconfitta, dimostrando che si trattava solo di un incidente di percorso e riprendendo la sua marcia verso il successo. Vedremo se anche in questo caso sarà così.

lunedì 24 marzo 2014

IL PIU' CLASSICO DEI CLASICOS

Immagine tratta da gazzetta.it
Spettacolo, polemiche, colpi da campione e sorprese. Il Clasico è da sempre La Partita in Spagna, attesa in patria e in tutto il mondo come uno degli eventi più importanti dell'annata calcistica. La sfida eterna, la rivalità mai sopita tra Barcellona e Real Madrid, rappresentanti in qualche modo delle due anime del Paese, non delude mai le attese, e anche in quest'occasione lo spettacolo è stato splendido per i tantissimi spettatori di tutto il globo.
Sorprese, dicevamo. Perché la vittoria del Barcellona, al termine di questo fantastico 4-3, è per diversi aspetti inattesa, visto il periodo difficile vissuto recentemente dagli uomini di Martino e, di contro, la brillantezza dei ragazzi di Ancelotti. Il Madrid arriva a giocarsi la sfida, in casa, da una posizione di assoluto vantaggio, con 4 punti in più dei rivali e la possibilità, in caso di successo, di escluderli definitivamente dalla corsa al titolo. Ma i blaugrana, che qualcuno definisce invecchiati, rilassati e soddisfatti dopo i tantissimi trionfi degli ultimi anni, nel momento della verità tirano fuori l'orgoglio e rispondono da campioni alla sfida dei blancos. La loro vittoria non è netta come accaduto in passato, le difficoltà degli ex "marziani" si vedono tutte, il Real con il suo pressing soprattutto all'inizio ha fatto passare brutti momenti alla retroguardia avversaria, e Mascherano ha giocato forse la sua peggior partita da centrale difensivo. Ne ha approfittato Benzema, inspiegabilmente in panchina all'andata, che ha segnato due reti da vero centravanti e ne ha sprecate almeno altre due ghiotte, dando al Real il primo e illusorio vantaggio. Conscio degli errori commessi nello scegliere la formazione all'andata (Ramos improbabile mediano e attacco "leggero" con Bale di punta), Ancelotti bilancia di più la squadra con Di Maria inserito in mediana con Modric e Xabi Alonso, e l'argentino lo ripaga con i due assist per le reti di Benzema. La sua strategia è chiara, ma ha un limite, perché se la prima linea del pressing viene saltata e il pallone arriva nella zona di Messi, per la retroguardia dei blancos sono dolori. A complicare tutto arriva poi la pessima giornata di Sergio Ramos, che a metà ripresa, con i suoi in vantaggio, stende in area Neymar lanciato a rete, ricevendo un rosso sacrosanto e lasciando in dieci fino a fine partita i suoi. Qui forse arriva l'unica pecca di Ancelotti, che toglie Benzema al posto di un Bale ancora una volta poco concreto, togliendo peso all'attacco ed esponendosi troppo agli attacci dei galvanizzati avversari.
Il confronto più atteso, quello tra i migliori giocatori del mondo, Messi e Cristiano Ronaldo, termina con la vittoria, netta e mai in discussione, del campione argentino. La Pulce, criticata anche lei per il recente periodo di scarsa forma e per voci e vicende esterne al campo, si riscopre campione al momento giusto, prendendosi di prepotenza la scena e ammutolendo ancora una volta il Bernabeu. Suo l'assist per il vantaggio di Iniesta, suo il pareggio a fine primo tempo dopo un errore non da lui in precedenza, suoi i due rigori nella ripresa che impattano e capovolgono definitivamente il risultato. Abile a farsi trovare pronto dai compagni, Messi sfrutta al massimo gli spazi che la difesa avversaria gli concede, agguanta Di Stefano in vetta ai migliori marcatori del Clasico, e da un messaggio a tutta la Liga: per il titolo lui e i suoi compagni ci sono ancora. Bene, o almeno meglio delle ultime uscite anche Neymar, che pur restando in involuzione gioca una discreta partita e soprattutto si procura il rigore con espulsione che indirizza di fatto la sfida. Le note dolenti per il Barça arrivano ancora dal reparto arretrato, con Mascherano come detto disastroso e tutta la linea difensiva impacciata e poco precisa contro il pressing feroce dei madrileni. Per una volta, però, i pregi dell'attacco sopperiscono ai difetti della difesa, e Martino si prende finalmente una rivincita dopo tante critiche e dopo esser stato definito inadatto alla panchina dei blaugrana.
In coda, non potevano mancare le solite polemiche contro l'arbitro. Ronaldo e compagni hanno attaccato pesantemente il signor Undiano Mallenco, reo di aver concesso due rigori dubbi ai blaugrana e di aver condizionato la gara con l'espulsione di Ramos. Di contro, il Barça replica evidenziando che il contatto tra Ronaldo e Dani Alves in occasione del rigore del 3-2 avviene nettamente fuori dalla linea dell'area. Anche questo, in fondo, fa parte dello spettacolo del Clasico.

domenica 16 marzo 2014

DETTAGLI E COLPI DA CAMPIONE

Immagine tratta da gazzetta.it
Ci sono partite, nell'arco di una stagione, che possono essere considerate fondamentali nella corsa al titolo o alla salvezza di una squadra. Quella di stasera tra Genoa e Juventus, se non consegna di fatto lo Scudetto alla compagine bianconera, può sicuramente lasciare il segno su questo campionato di serie A. Perché nel momento di massima difficoltà, contro un'avversaria in grado di metterla in difficoltà come poche negli ultimi anni, la Vecchia Signora esce ancora una volta dal campo con in tasca 3 punti pesantissimi, per certi versi immeritati, ma forse decisivi.
Niente turnover, nonostante la terza sfida con la Fiorentina alle porte, anche perché le assenze impediscono una ruotazione degli uomini. Particolarmente decimato l'attacco, con Giovinco e Tevez che si uniscono all'ormai perennemente infortunato Vucinic, ma anche centrocampo e difesa sono rattoppati, perché Marchisio non recupera dal problema accusato in Coppa, e nel riscaldamento anche Barzagli da forfait. Niente riposo dunque per Chiellini e Pogba, con la strana coppia Llorente-Osvaldo davanti alla ricerca del gol. Il Genoa di contro è un osso duro, durissimo, gioca sulle ali dell'entusiasmo e corre per 90 minuti, mettendo più volte in difficoltà i bianconeri proprio con il ritmo alto, che dovrebbe essere uno dei suoi pezzi forti. Per una volta è la Juve a dover puntare sulle ripartenze, con Osvaldo che per due volte si vede annullare un gol per fuorigioco (corretta la prima segnalazione, errata anche se difficile la seconda). I rossoblu reclamano a loro volta per un contatto tra Lichtsteiner e Bertolacci, ma in generale controllano la partita, sono aggressivi e pur senza tirare in maniera davvero pericolosa in porta fanno sudare sette camicie alla Juve. E chi si aspetta un calo del Genoa nel secondo tempo rimane sorpreso, perché al contrario i liguri sembrano ancora freschissimi, mentre è la Juve a mostrare limiti di condizione e un appannamento visto raramente. 
E' in questo scenario, nel momento di massima difficoltà, che si ergono a grandi protagonisti i due giocatori più esperti tra i Campioni d'Italia, i due veri riferimenti per carisma e qualità: Gianluigi Buffon e Andrea Pirlo. Il portiere, che oggi raggiunge il mito Zoff nella lista dei presenti all-time con la maglia bianconera, è decisivo prima quando respinge il tiro di Bertolacci da distanza ravvicinata, e soprattutto quando para il rigore di Calaiò (fallo di mano di Vidal, oggi uno dei peggiori), mantenendo il punteggio sullo 0-0. Il secondo, pressato per tutta la gara Matuzalem e non molto incisivo, da un saggio della sua classe disegnando su punizione la parabola che al minuto 89 regala la vittoria e 3 punti fondamentali alla squadra di Conte.
Se anche in una partita così, che ha rischiato seriamente di perdere e in cui un pareggio sembrava già ottimo, la Juve riesce a tornare a casa con tre punti, allora il destino di questo campionato appare sempre più scritto. A completare il quadro, va sottolineato che a conquistarsi la punizione decisiva è stato Fabio Quagliarella, che sta vivendo la stagione più difficile da quando è a Torino, che ha giocato davvero pochissimo e negli ultimi due mesi non aveva praticamente visto il campo. Un dettaglio, anche questo, che come i precedenti fa la differenza.

giovedì 13 marzo 2014

ROULETTE E ROULOTTE

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F1. Gp d'Australia 2014 in arrivo. Prima gara della nuova stagione, della nuova era, della nuova vita. Colpo di spugna e si radono al suolo tutte le regole precedenti. Alettoni nuovi, musi bassi, ERS, KERS, 100 litri di benzina per tutta la gara, punti doppi ad Abu Dhabi e motori turbo. E gira la roulette.
Quello che è sicuro è che non usciranno il numero 1 di Seb Vettel, mega quadricampeao, e non uscirà neppure quello di Ricciardo, il sostituto cangureggiante dell'abbacchiato Webber, con il 3.
La Red Bull ha una lattina sgonfia, sgasata, bucata. La Renault ha fornito una power unit (nuova parolina chiave della F1, che comprende unità motore associata a sistemi di recupero energia) totalmente sballata. In tutte le prove i motorizzati Renault non hanno fatto più di 30 giri. Non c'è trovata geniale di Newey che tenga. Quest'anno staranno a guardare. E Vettel se ne starà buonino ad aspettare annate migliori per attaccare il mitico record dei sette Mondiali di Schumacher. Poggia il suo regale lato B su una roulotte sgangherata.
Roulette gira e pallina ferma sulla Williams. Addirittura. Con Massa. Il 19. Che siederà sulla migliore Williams del decennio. L'unità Mercedes è una fionda, una bomba. E si rompe meno di tutti. Favorita per la vittoria, si. Massa tra i favoriti. Bum. Ma è la realtà.
Ma conoscendo il brasiliano triste degli ultimi anni, dovrà stare attento alla classica Bottas di sfiga, in agguato dall'altra parte del box. Con il numero 77.
Colpo di roulette e pallina bloccata sullo 0. Che non è nè rosso nè nero. Ed è la Ferrari. Che si nasconde anzichè no. Che è dietro i migliori, ma forse è una tattica. Che per l'ennesima annata deve rincorrere, ma i conti si fanno alla fine. Non si sa. E non si sa chi sia il migliore tra il caldo 14 di Alonso ed il freddo 7 di Raikkonen. Andiamo controcorrente: non è una coppia che scoppia. Troppo vecchi entrambi, troppo lenti in qualifica negli ultimi anni, e poi l'animo latino con l'algido finlandese non andrà mai a litigare, semplicemente perchè per Raikkonen un secondo dopo la bandiera a scacchi è come se non fosse successo nulla.
Jackpot in vista per i numeri 44 e 6. Al secolo la coppia Mercedes formata da Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Per tutti il favorito è Hamilton, ma se non vince e verrà battuto anche solo per qualche gara da Nico, andrà dritto sul lettino del psicanalista. Nico ha tutto da guadagnare, ha fatto soffrire Schumacher e poi Hamilton. Ha preso pure il numero di quando il babbo ha vinto il Mondiale. Si vedrà.
Possibili outsider il 22 Button ed il 20 esordiente Magnussen vestiti di grigio McLaren, e il 27 Hulkenberg e l'11 Perez su Force India. Entrambe scuderie spinte dal motore magico Mercedes.
Il 21 Gutierrez e il 99 Sutil con la Sauber, il 17 Bianchi e il 4 Chilton su Marussia pregano che la Ferrari porti quantomeno affidabilità con il suo propulsore. 
Pallina impazzita a fine griglia dedicata alle roulotte motorizzate Renault: il 9 Ericsson e il fantastico 10 Kobayashi su Caterham che ha un muso che più brutto non si può, assieme al 25 Vergne e al 26 Kvyat della Toro Rosso, che ha pescato l'anno giusto per lasciare i propulsori Ferrari e passare a quelli francesi.
Poi capitolo Lotus. Lenta lentissima, sarà un inizio tragico. Ben arrivato il 13 Maldonado in barba alla scaramanzia, che affianca l'8 Grosjean. Altro che roulette o roulotte, questi due son due bocce che cozzeranno tra loro.
Tutti pronti al via, a fine gara si conteranno i superstiti. Opinione comune che arriveranno alla fine solo metà dei concorrenti. Si romperanno tutti, spesso e volentieri. Fumatina bianca e addio. E la roulette potrebbe premiare a caso chiunque. Do you remember Monaco '82 (nei video qua sotto)? Ecco.

PS. L'immagine d'apertura è quella dell'ultima vittoria di Michael Schumacher, Cina, 2006. E c'entra con tutta questa storia. Perchè Schumacher è la storia della F1, e la roulette, quella della vita, ha preso un brutto giro per lui. Tutto può cambiare in un secondo. Bisogna aspettare ancora. E aspetteremo. Per forza. Con fiducia.  #KeepFightingMichael


domenica 9 marzo 2014

TANTO C'HA RAGIONE CHI FA GOL...

Immagine tratta da calciomercato.com
A voler sintetizzare quello che si è visto questa mattina tra Juventus e Fiorentina, si potrebbe semplicemente ricordare questo motivetto simbolo di un programma sportivo di fine anni '90: alla fine, è sempre chi fa gol ad aver ragione. Il gol (e che gol) l'ha segnato Asamoah, pur con l'aiuto di una deviazione, a coronamento di una grande azione personale e di un primo tempo che ha visto prevalere nettamente i bianconeri. Non altrettanto hanno fatto, dall'altra parte, Mario Gomez e soprattutto Ryder Matos, entrambi imprecisi di testa nelle due occasioni da rete più nitide per la formazione viola. Il tedesco ha mandato clamorosamente fuori da buona posizione e senza marcatura, il brasiliano ha fatto anche peggio colpendo la traversa a pochi centimetri dalla porta, ad una manciata di minuti dalla fine.
Va detto che tutto sommato un pareggio sarebbe stato forse il risultato più giusto per questa che è stata la prima di tre sfide tra torinesi e toscani, visto anche il doppio impegno negli Ottavi di Europa League. La Fiorentina ha riscattato un primo tempo brutto e poco incisivo con un forcing finale da squadra matura e tenace, come vuole il suo allenatore, costringendo la Juve a coprirsi e rinunciare ad una punta pur di mantenere il risultato. Gli eroi dell'incredibile rimonta dell'andata (da 0-2 a 4-2 in un quarto d'ora) non sono in campo, Joaquin è malinconicamente in panchina, Pepito Rossi è ko da un paio di mesi, alla loro assenza si aggiunge anche quella pesante di Borja Valero, squalificato. A fare la differenza in negativo però è la giornata storta della linea mediana, con Pizarro che soffre terribilmente il pressing delle punte avversarie e perde palloni sanguinosi, Aquilani altrettanto impreciso e Anderson in ritardo di condizione e in debito di ossigeno già a fine primo tempo. La sfortuna ci ha sicuramente messo lo zampino, ma la reazione rimane troppo tardiva, perché regalare un tempo ad un'avversaria come la Juve è un lusso che a questi livelli non ci si può permettere.
I bianconeri centrano il quattordicesimo successo consecutivo in casa, un record che eguaglia quello del Torino del '76, che pareggiò solo l'ultima gara interna. In una giornata in cui Tevez e Llorente brillano poco, Pogba gioca una sfida "normale" e Vidal risulta troppo impreciso, basta la giocata di Asamoah, il migliore dei suoi con Marchisio (sempre più a suo agio nel ruolo "alla Pirlo"), a regalare tre punti preziosissimi alla capolista, sempre più in fuga verso il terzo scudetto consecutivo. Come domenica scorsa contro il Milan, la Juve si dimostra una volta di più pratica e spietata nello sfruttare le occasioni che le vengono concesse e a trasformarle in oro. Lo Scudetto, per ammissione dello stesso Conte, è al 50% cucito sul petto dei bianconeri, ora la vera sfida è la scalata all'Europa, a cominciare proprio dal doppio confronto con i viola. Perché vincere e scrivere nuovi record in Italia è una gran cosa, ma tornare ad alzare un trofeo internazionale può valere molto di più.

mercoledì 5 marzo 2014

UN CODICE PIU' UTILE CHE ETICO

Immagine tratta da lanostratv.it e modificata su befunky.com
Per mesi gli addetti ai lavori hanno abusato del termine "codice etico", riferito alla Nazionale. Spesso un dito dietro al quale nascondersi, una frase con la quale motivare esclusioni eccellenti. Un codice applicato nella stragrande maggioranza delle occasioni, ma non in tutte. E finalmente Prandelli nella conferenza stampa di lunedì ne ha chiarito significato, metodo, applicazione e motivazione: "A novembre ho fatto una riunione con i giocatori, per spiegare il senso del codice etico, che è un nostro regolamento. Dissi che in particolare per la partita che precede una convocazione il giudice sono io e che in caso di comportamenti non in linea con quel codice, in Nazionale non si viene: i giocatori accettarono. Io non voglio e non posso rischiare di arrivare al Mondiale e ritrovarmi a giocare una partita in dieci. Punto". 
Tralasciando la tempistica dei giudizi ("..in particolare la partita che precede una convocazione..."), sono dichiarazioni condivisibili, è giusto che i calciatori che rappresentano la nazione intera abbiano un comportamento il più possibile ineccepibile, per dare un'immagine, un esempio, una morale, in un mondo del calcio spesso vacillante di valori ed esempi moralmente retti. 
Ma è nell'ultima frase che Prandelli lascia perplessi, sul non volere e poter rischiare di arrivare al Mondiale e giocare in dieci. Come se il codice etico avesse il fine di non far giocare in dieci la Nazionale e non lo scopo di dare un'immagine "pulita" alla Nazionale. Per carità, ben venga non giocare mai in inferiorità numerica, ma allora se è questa la motivazione profonda del codice etico, per favore lasciamo l'etica da parte. L'etica è un terreno sdrucciolevole, richiama definizioni filosofiche, "ciò che è giusto fare o non fare", "ricerca di ciò che è bene per l'uomo", "i doveri morali verso sè stessi e gli altri". Di etico in un allenamento per i calciatori a non essere espulsi ai Mondiali, in una punizione, non c'è molto. C'è un fine da perseguire, c'è allenamento mentale, abitudine a non fare gesti eccessivi. 
L'intenzione è lodevole, ma si lasci l'etica da parte. E' un codice più utile che etico.