domenica 23 febbraio 2014

UN LAMPO TRA MILLE POLEMICHE

Immagine tratta da attual.it
Il match: Sotto la Mole si disputa l'attesissimo derby tra Juventus e Torino, una sfida da sempre carica di tanti significati e ricca di sorprese nella storia della serie A. I granata, che non segnano in una stracittadina dal 2002 e non vincono addirittura dal 1995, propongono l'ormai consueto 3-5-2, con Bovo preferito in difesa a Maksimovic e Masiello fuori all'ultimo per un problema fisico, sostituito da Pasquale. Davanti agisce la coppia Cerci-Immobile, osservata speciale oggi del c.t. azzurro Cesare Prandelli. Nella Juve torna Barzagli in difesa, mentre sono ancora fuori per infortunio Chiellini, Vucinic e Pepe. Bianconeri che mantengono anche loro il 3-5-2, con la coppia d'attacco titolare che è ancora Tevez-Llorente, Caceres preferito all'ex Ogbonna come terzo di difesa e Marchisio, a segno nei due derby dello scorso anno, ancora in panchina.
La cronaca: Partita equilibrata e giocata a viso aperto, come forse non accadeva da molti anni. La Juve fa al solito il match, ma una volta nella metà campo avversaria trova tutti gli spazi intasati da un Toro corto e pronto a sfruttare ogni occasione per far scattare qualche micidiale ripartenza. El Kaddouri, il migliore tra i granata alla fine, spaventa Buffon con un pallonetto alto, Tevez replica impegnando Padelli con un gran tiro, per il resto regnano equilibrio e tensione. Almeno fino alla mezz'ora, quando Tevez riceve palla da Asamoah al limite, controlla e gira di destro nell'angolo, imparabilmente per il portiere avversario. Gara sbloccata, ora la Juve controlla, anche perché il Toro continua a restare coperto e così facendo favorisce il possesso palla e il ritmo lento imposto dai bianconeri. Unico brivido un fallo di mano di Vidal, già ammonito, che Rizzoli non se la sente di sanzionare con un secondo giallo che ci poteva stare. Nella ripresa, dopo un inizio lento e un po' sonnacchioso, i granata finalmente si scuotono per cercare il pari. Non arrivano veri tiri in porta, ma su un pallone in area Pirlo interviene sul solito El Kaddouri; il tocco ci sta tutto, anche se il marocchino accentua la caduta, ma Rizzoli ancora una volta lascia proseguire, tra le proteste del popolo torinista. Finisce 1-0, il proverbiale cuore Toro non è bastato per sfondare, la Juve resiste soffrendo terribilmente, ma di certo non mancheranno le polemiche sull'arbitro.
La chiave tattica: Il piano tattico di Ventura era giusto finché si è rimasti in parità, una volta sotto il Toro avrebbe forse dovuto osare prima, senza aspettare l'ultima mezz'ora.
Il migliore: Dopo la traversa dell'andata, Carlos Tevez aveva una voglia matta di lasciare il segno nel derby. C'è riuscito con una gran giocata, che dimostra ancora una volta cosa voglia dire essere un top player.
La delusione: Da qualche partita Vidal sembra in flessione nel gioco e nella condizione fisica. Oggi ha rischiato di lasciare la squadra in 10 e non ha mai lasciato il segno in positivo nel derby. Diffidato, dovrà assistere a Milan-Juve dalla tribuna.
La classifica: Bianconeri micidiali in casa, 13 vittorie in altrettante sfide, e vetta della classifica che resta solida con 66 punti, 9 in più della Roma e 16 più del Napoli, entrambe con una partita in meno.
Prossimi incontri: 27 febbraio, Trabzonspor-Juventus (Europa League); 2 marzo, Milan-Juventus; 9 marzo, Juventus-Fiorentina.

FORTI CON I FORTI

Immagine tratta da cagliaricalcio.net e modificata du befunky.net
Solita storia. Si è forti con le squadre forti e deboli con le squadre deboli. Considerando che nel campionato di Serie A sono in maggioranza le squadre deboli, capiamo che per il Cagliari butta sicuramente male.
Oggi con l'Inter c'è stata una buona recita, un 1-1 soddisfacente dal lato del risultato, ma bisogna essere consapevoli di aver tirato in porta zero volte ed essere stati fortunati sulla traversa colta nel finale da Icardi.
Guardando ai singoli, Cossu da regista basso ha fatto un bellissimo match, scevro da dover cercare dribbling e fughe solitarie, è risultato utile alla squadra e concreto. Ekdal ha disputato una delle migliori gare stagionali, gran quantità e qualità. Ibarbo, specie nel primo tempo, ha fatto vedere i sorci verdi a Juan Jesus, prima di spegnersi malinconicamente nella ripresa. Astori ha guidato la difesa in modo impeccabile. Ma se 4 giocatori disputano una partita sopra le righe e non si tira in porta, evidentemente il problema non è nelle prestazioni singole, ma in quella globale.
La squadra non esprime idee di calcio nette, riconoscibili, fruttuose. Si incaglia sulla trequarti avversaria e rincula in passaggini sino a sparacchiare avanti e perdere la sfera. Nella fase offensiva gli uomini non sono vicini, si attacca in pochi e posizionati male. E gli schemi nelle azioni d'attacco saranno fondamentali specialmente quando si incontreranno le cosiddette deboli. Sennò la palla tra i piedi scotterà, e la pressione offensiva sarà inutile se non arrivano veloci triangolazioni o aperture che possano mettere uomini davanti al portiere avversario.
Si esulta per un punto, ma gli osservatori più attenti noteranno come il Cagliari per portare a casa il pareggio si sia snaturato. Con l'uscita dell'acerbo Adryan si è passati nella ripresa al 4-4-2. Ma non un 4-4-2 sacchiano o delneriano, palla che gira veloce e spunti delle ali, reparti vicini, etc. Un 4-4-2 terribile. Centrocampo con Vecino a destra, Ekdal e Cossu centrali ed Eriksson a sinistra. Insomma, non si riuscivano a fare due passaggi di fila. Si finiva a mettersi in otto davanti ad Avramov. Se l'evoluzione tattica di Lopez passa dall'infruttuoso 4-3-1-2 a un inguardabile 4-4-2 anti calcio, allora oltre che trovare uno straccio di gioco, si avrà sul serio bisogno di un allenatore. Un allenatore vero.

domenica 16 febbraio 2014

NUOVI PREGI, SOLITI DIFETTI

Immagine tratta da leggo.it
Il match: Subito dopo la rimonta subita a Verona, la Juve deve vedersela con l'altra formazione veronese, il Chievo, a secco di vittorie dai primi di dicembre e reduce da due sconfitte consecutive. Assenze importanti da entrambe le parti, ma di peso specifico differente viste le rose a disposizione. Juve con Barzagli, Chiellini, Vucinic e lo sfortunatissimo Pepe infortunati, e Pogba e Tevez in panchina per scelta tecnica. Titolari Caceres e Ogbonna in difesa, Marchisio in mezzo al campo e Giovinco, che solo poco tempo fa sembrava un desaparecido, in avanti al fianco di Llorente. Anche il Chievo ha problemi di formazione, in particolare dietro, dove mancano l'infortunato Dainelli e lo squalificato Cesar, mentre in mezzo al campo pesa l'assenza di Rigoni, influenzato. In porta debutta Agazzi, preso a gennaio dal Cagliari dove era finito fuori rosa, il modulo è il 3-5-2 con Stoian preferito davanti come spalla di Thereau a Paloschi e Pellissier.
La cronaca: Partita sempre in mano alla Juve, che nel primo tempo non viene praticamente impensierita e padroneggia campo e ritmo a proprio piacimento. La partita la sblocca Asamoah intorno alla mezz'ora, con un gran tiro dal limite dell'area dopo essersi accentrato, poi Marchisio sembra chiuderla con un tap-in da corta distanza su una punizione di Pirlo ribattuta centralmente da Agazzi. Ma come ormai capita da troppe domeniche a questa parte, si ripropone il solito difetto dei bianconeri, che si rilassano troppo e lasciano prendere campo e fiducia a un avversario più deciso nella ripresa. A riaprire il match ci pensa un comico autogol di Caceres, che si vede schizzare sulla gamba un rinvio forte ma troppo frettoloso, e da quel momento per alcuni minuti lo Juventus Stadium tace, temendo un nuovo 2-2 dopo quello di domenica scorsa. A scacciare le paure ci pensano Llorente e soprattutto Agazzi, che manda in angolo una punizione che andava abbondantemente fuori di Pirlo, e sul successivo corner esce maluccio sullo spagnolo, che senza saltare mette dentro il 3-1. Gara finita, c'è tempo per assistere agli ormai soliti, ingenerosi fischi per un Giovinco volenteroso ma poco concreto, che provocano la giusta e rabbiosa reazione di Conte.
La chiave tattica: Pur giocando una gara poco brillante, la Juve mantiene l'ormai solita concretezza, sfruttando le occasioni che le vengono concesse per segnare e indirizzare la sfida. Se in passato molte sfide rimanevano bloccate per le troppe occasioni sprecate, ora sembra che la Juve abbia imparato ad essere, all'occorrenza, cinica e spietata nelle gare tatticamente complicate.
Il migliore in campo: Che la sua forma fisica fosse in crescita era evidente, oggi Asamoah ha suggellato un'ottima partita con la prima rete del campionato. La fascia sinistra sarà al sicuro finché lui manterrà questo livello di gioco.
La conferma: Con quella al Chievo diventano 10 le sue marcature in campionato. Fernando Llorente ormai è una sicurezza davanti, neanche la concorrenza di Osvaldo sembra averlo distratto dalla sua impressionante regolarità.
La delusione: La rete del Chievo è in buona parte colpa di Lichtsteiner, che non legge una situazione abbastanza tranquilla e si affretta nel rinvio, colpendo però Caceres e causando un'autogol da "Mai dire..." Una macchia in una partita poco brillante rispetto a quelle più recenti.
La sorpresa: Unico titolare superstite dietro, Bonucci da sicurezza al reparto e in un paio di occasioni è decisivo nel respingere conclusioni che potrebbero mantenere in bilico la partita.
La classifica: Dodicesimo successo in altrettante sfide casalinghe per la Juve, che resta in testa con 63 punti, con 12 lunghezze sulla Roma (in ritardo di 2 gare) e 13 sul Napoli.
Prossime partite: 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League); 23 febbraio, Juventus-Torino; 27 febbraio, Trabzonspor-Juventus (Europa League).

venerdì 14 febbraio 2014

MARCO PANTANI: UN MITO INDELEBILE, A 10 ANNI DALLA SCOMPARSA

Immagine tratta da redkiteprayer.com
14 febbraio 2004. Un San Valentino difficile da dimenticare, quello di 10 anni fa, soprattutto per l'Italia del ciclismo, che si è ritrovata all'improvviso a piangere uno dei suoi campioni più amati e forse più controversi di sempre. Dieci anni trascorsi in un attimo, ma c'era voluto molto meno per rovinare la carriera di un atleta, per distruggere la vita di un uomo, e portarlo a questa tragica fine.
L'uomo in questione era Marco Pantani, il Pirata, lo scalatore impavido e temerario, che ha sempre vissuto in salita, nel ciclismo come nel corso della sua purtroppo breve esistenza. Non aveva un carattere semplice, nella vita privata era una persona estremamente timida, insicura, fragile, ma quando inforcava la bicicletta si trasformava, i dubbi svanivano, e più la strada diventava ripida più lui l'affrontava con desiderio e convinzione. Una passione, quella per il ciclismo, che l'ha aiutato più volte a superare momenti duri, con la sfortuna che sembrava perseguitarlo e colpirlo proprio quando era ad un passo dall'affermarsi, dalla vittoria. Il grave incidente dell'ottobre 1995, dopo un terzo posto ai Mondiali che sembrava un trampolino di lancio, lo scontro con un fuoristrada che si immette contromano durante la Milano-Torino, la gamba sinistra che riporta serie fratture, una promettente carriera che potrebbe bruscamente interrompersi. Lo sfortunato ritiro nelle prime tappe del Giro d'Italia del 1997, dopo un anno passato a riprendersi e recuperare la forma migliore, a causa di una caduta provocata addirittura da un gatto che gli taglia la strada, e ancora una volta i sogni di gloria che sembrano andare in frantumi. Marco aveva reagito a tutto questo, da campione, aveva finalmente coronato i sogni di vittoria nel magico 1998, quando al Giro e al Tour aveva staccato tutti, soffrendo in cronometro, scalpitando in pianura, e dando il meglio di sé sulle montagne, tra ali di folla, osannato dai fan di tutto il mondo, personaggio come pochi ce n'erano stati e pochi ce ne saranno dopo di lui.
Poi, nell'anno successivo, quello che doveva aggiungere nuovi capitoli alla leggenda, arrivò invece la doccia fredda di Madonna di Campiglio, l'ematocrito più alto dell'1% rispetto al limite massimo consentito, la sospensione da un Giro che stava dominando, la successiva rinuncia al Tour de France. La discesa, quella vera, iniziò allora nella vita di Pantani, perché quell'accusa di doping fu un peso troppo grande, più di ogni incidente e della sfortuna, e dopo quell'episodio non tornò mai del tutto sé stesso. Stavolta era stata la psiche dell'uomo ad essere colpita, minata profondamente, e quella ferita non si sarebbe mai rimarginata del tutto, il vero Pirata non sarebbe più tornato dopo Madonna di Campiglio. Nel 2000 gli ultimi acuti, al Tour de France, i suoi scatti d'orgoglio oltre che di forza contro l'americano Lance Armstrong, colui che ironia della sorte all'epoca era considerato il simbolo del riscatto dalle disgrazie della vita e dello sport pulito e vincente. Poi, il lento declino, le vicende extrasportive, le cause per doping che non lo lasciarono tranquillo, gli impedirono di riprendere una preparazione seria alle corse, i Giri d'Italia da anonimo comprimario, e i freddi organizzatori del Tour che più volte lo rifiutarono, gli chiusero definitivamente la porta. Marco cadde sempre più in depressione, si allontanò da tutto e tutti, trovò conforto nell'alcol e soprattutto nella cocaina, triste compagna del periodo più triste della sua vita. Fino al tragico e controverso epilogo di quel 14 febbraio 2004, quando morì in circostanze misteriose per una presunta overdose di droga a Rimini, solo e abbandonato da tutti.
La sua fama però non è mai morta, la passione che ha lasciato nel cuore dei suoi vecchi tifosi vive e brucia tuttora, in tantissimi ancora si emozionano rivedendo i filmati dei suoi scatti e delle sue vittorie. Perché in fondo Pantani era ed è ancora il campione della gente, l'eroe solitario che va avanti per la sua strada, che si fa amare dal popolo proprio per il suo essere forte e al tempo stesso fragile, con un talento divino ed un animo tanto, troppo umano. Un vero simbolo del ciclismo, uno di quei personaggi che tanto mancano oggi, genuino come pochi, nel bene e nel male, un mito che neanche le accuse di doping, vere o presunte tali, sono riuscite a sbiadire. E che oggi più che mai resta nell'Olimpo del ciclismo italiano, perché di campioni ne possono nascere tanti, ma come Marco Pantani non nascerà più nessuno.

domenica 9 febbraio 2014

UNA COPPA "DI PROVINCIA"

Immagine tratta da gazzetta.it
La Coppa Italia di basket del 2014 rimarrà sicuramente negli annali per la prima affermazione, meritatissima, di una squadra sarda in questa competizione. Ad alzare il trofeo, infatti, è stata un'ottima Sassari, capace in questi tre giorni di esprimere un basket come sempre spumeggiante e finalmente vincente, e ottenendo il primo importante riconoscimento dopo un paio di stagioni ad ottimo livello, pur senza successi.
E' il giusto premio per un gruppo unito, solido, capace di far male a tutte le difese del campionato, anche alla più agguerrita, e di sfatare un insidioso fattore campo, visto che la prima sfida, forse decisiva, è stata contro i lanciatissimi padroni di casa di Milano, battuti dopo una vera e propria battaglia e una rimonta che a tratti era sembrata impossibile. Quel successo ha dato convinzione e fiducia ai sardi, che senza snaturare il loro basket hanno vinto, soffrendo ma meritando, le successive partite contro Reggio Emilia in semifinale e Siena nella finale decisiva. Superlativa la prova di molti dei giocatori del Banco di Sardegna, a cominciare dai terribili cugini Drake e Travis Diener (quest'ultimo premiato MVP della finale), veri trascinatori e leader della squadra. Con loro, preziosa la prova dei due Green, con Caleb autentico protagonista nella sfida decisiva e Marquees sempre presente e decisivo nei momenti chiave del match, e importante l'apporto dell'ormai storico nucleo di italiani, il versatile Bryan Sacchetti, il micidiale tiratore e capitano Vannuzzo, l'utilissimo difensore De Vecchi. E' il successo come detto di un gruppo completo, capace di rialzare la testa dopo un periodo piuttosto difficile e segnato da diverse sconfitte, e soprattutto del coach Meo Sacchetti, stufo come lui stesso ha detto a fine gara di ricevere tanti complimenti senza ottenere nulla di concreto.
Dopo cinque successi consecutivi, Siena per una volta deve accontentarsi del secondo posto, ma non c'è molto da rimoproverare alla squadra di Crespi, che ancora una volta ha dimostrato che quando la competizione conta sa dire sempre la sua, a dispetto di una rosa meno competitiva del passato e di un monte ingaggi sempre più basso. Contro Roma nei quarti e la scatenata Brindisi di questo inizio di stagione in semifinale, i toscani hanno tirato fuori la loro proverbiale difesa, vincendo entrambe le sfide con una certa autorità e guadagnandosi la sesta finale di fila. Qui però nulla hanno potuto Ress e compagni contro la scatenata Dinamo, e pur riaprendo con orgoglio e impegno una sfida in apparenza segnata (da -20 a -3 nel corso del terzo posto), alla fine si sono dovuti accontentare di un argento, seppur meritato. Bella la prova di Reggio Emilia, protagonista di un bel successo ai quarti con Cantù e arresasi a Sassari con l'onore delle armi, positiva anche l'esperienza di Brindisi, rivelazione finora in campionato e non certo abituata a sfide così importanti e con appena un giorno di recupero tra una partita e l'altra. Le prestazioni di queste quattro squadre sono inoltre la testimonianza di come i progetti, la programmazione e la lungimiranza possano portare a risultati importanti, pur senza grandi fondi economici. Siena a parte, le altre tre squadre vengono tutte dalla provincia, hanno costruito con un mercato attento e un lavoro di anni queste formazioni, e adesso stanno raccogliendo i giusti frutti di questa politica.
La più grande sconfitta è ancora una volta Milano, che pur con l'innesto di altri campioni in rosa (Moss, Kangur, Jerrels, Lawal e in ultimo Hackett) e reduce da una serie di importanti vittorie, si è confermata discontinua e da rivedere quando le gare diventano decisive. Contro Sassari, con la partita in mano e il pubblico dalla loro parte, i milanesi si sono ancora una volta inceppati, subendo la rimonta dei sardi e dimostrandosi incapaci di chiudere il match. Un'indicazione importante per Banchi e i suoi ragazzi, che per l'ennesima volta escono delusi dal torneo e devono cospargersi il capo di cenere e lavorare, perché nei playoff un'altro risultato negativo non sarà certamente ammesso con la rosa e il budget a disposizione. Male anche altre grandi del campionato, con Cantù, Roma e Venezia che sono cadute subito nella competizione, lasciando intendere che le squadre hanno ancora bisogno di tempo, e magari di qualche innesto importante, prima di potersi dire pronte per lasciare il segno in questa stagione. Una cosa è certa: se le grandi metropoli vorranno vincere il tanto ambito scudetto, dovranno sudare le proverbiali sette camicie, perché contro le provinciali terribili come Sassari nessuna partita sarà mai facile.

MAI DIRE GATTO...

Immagine tratta da calcioblog.it
Il match: La Juventus va a far visita a un Verona in gran forma, che ha interrotto contro il Sassuolo una piccola striscia di risultati negativi e intende confermarsi tra le prime di questa serie A. I padroni di casa risistemano un po' la difesa, in cui manca il capitano Maietta, con in neoarrivato Pillud e il recuperato Agostini in panchina, e schierano il collaudato 4-3-3 con l'ex juventino Toni al centro dell'attacco. I piemontesi devono rinunciare a Barzagli, uscito affaticato dalla sfida contro l'Inter, e lo rimpiazzano con Caceres, mantenendo il rodato 3-5-2 con lo scalpitante Marchisio e il nuovo acquisto Osvaldo in panchina. Non convocato Quagliarella, che già in settimana era apparso (smentite a parte) come un separato in casa.
La cronaca: Si può a ragione parlare di due partite, completamente diverse l'una dall'altra, a cui assistono i prima increduli e poi entusiasti spettatori del Bentegodi. Nel primo tempo non c'è partita, la Juve come contro l'Inter parte a mille e mette subito in chiaro la sua voglia di vincere. Tevez è alla matta ricerca di un gol, Rafael glielo nega prima, poi glielo "concede" buttandogli addosso un pallone calciato da Asamoah, quindi l'Apache raddoppia sfruttando il gran pallone di Pogba e la svista del guardalinee che non pesca il suo leggero fuorigioco. Venti minuti e la sfida sembra già finita, visto che il Verona non abbozza neanche una timida reazione. Ma bastano cinque minuti dopo l'intervallo per cambiare tutto, grazie alla difesa juventina che su una posizione decide di lasciar libero l'uomo sbagliato, Luca Toni, che di testa riapre la sfida. La Juve sembra controllare il match, ma sulla pressione dei veronesi si scopre, concede spazi sulle ripartenze e pian piano sembra perdere sicurezza. Un Buffon in versione extralusso salva ancora su Toni, un mani di Lichtsteiner molto sospetto non viene giudicato da rigore, ma all'ultimo secondo Juanito Gomez brucia sul tempo Ogbonna e di testa firma il 2-2 definitivo, impensabile a fine primo tempo. Come direbbe il buon vecchio Trap: "Mai dire gatto se non l'hai nel sacco"...
La chiave tattica: Come già notato nelle precedenti partite, finché la Juve mantiene alto il ritmo ed è concentrata non ce n'è, l'incontro è nelle sue mani. A cambiare tutto è ancora un errore di marcature sulle palle da fermo, che unito all'incapacità di riprendere in mano la situazione e segnare il terzo gol permette al Verona di recuperare il pareggio.
Il migliore: Proprio la scorsa settimana avevamo definito preoccupante l'astinenza di Carlos Tevez, a secco dall'ultima sfida del 2013. L'Apache deve averci ascoltati, perché ha risposto con ben due centri, oltre alla proverbiale grinta e al solito sacrificio al servizio della squadra.
La sorpresa: Accolto con un po' di scetticismo, Pablo Daniel Osvaldo si è presentato con la sua nuova maglia colpendo un palo e rendendosi subito pericoloso. Presto per giudicarlo, ma se si riesce a limitare il suo carattere "esuberante", può essere un acquisto molto utile a questa squadra.
La delusione: Sul gol di Toni pesa certamente l'errore della difesa bianconera, in particolare di Chiellini, che in coppia con Bonucci lascia troppo spazio al centravanti. Una leggerezza che costa cara, e di fatto cambia la storia della partita.
La conferma: Nelle ultime partite, Asamoah sembra aver ritrovato la continuità e la gamba dei momenti migliori, confermandosi a buon diritto titolare sulla fascia sinistra.
La classifica: Secondo pareggio esterno di fila per la Juve, che resta comunque leader in classifica con 19 vittorie, 3 pari e una sola sconfitta. Il vantaggio sulla Roma, che ha una sfida in meno, resta di 9 punti, si riduce a 13 quello sul Napoli.
Prossime partite: 16 febbraio, Juventus-Chievo; 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League); 23 febbraio, Juventus-Torino.

martedì 4 febbraio 2014

TRE PUNTI DI SACRIFICIO

Immagine tratta da cagliaricalcio.net e modificata su befunky.com
Il match: il Cagliari ospita al Sant'Elia la Fiorentina, dopo una serie negativa di 3 pareggi e 3 sconfitte. L'8 dicembre l'ultima vittoria in campionato. Snodo dell'8 dicembre significativo anche per la Fiorentina, imbattuta da quella data: da allora 4 vittorie e 2 pareggi. Nel Cagliari è k.o. Ibarbo per un'appendicite, Pisano per un problema ad un piede, ai quali si aggiunge Cossu squalificato. Classico 4-3-1-2 con Perico terzino destro e Cabrera dietro le punte Pinilla e Sau. L'infermeria della Viola è gremita: Gomez, Tomovic, Hegazy e Ambrosini. Borja Valero e Cuadrado un po' per condizioni fisiche non perfette e un po' per turnover vanno in panchina, assieme a Capitan Pasqual. Vargas fa il terzino, Anderson va nel terzetto di mediana, con Ilicic e Mati Fernandez che affiancano Matri.
La cronaca: primo tempo equilibrato, sbloccato da un episodio. Roncaglia commette un fallo piuttosto ingenuo su Sau, procurando il rigore che Pinilla non sbaglia al minuto 39. Nella ripresa Fiorentina non pervenuta, che porterà a referto un solo tiro verso la porta rossoblù e Cagliari che gestisce agevolmente il vantaggio, risultando impreciso in più di un contropiede invitante. Una delle peggiori esibizioni della squadra gigliata.
La chiave tattica: Lopez schiera il suo Cagliari con una difesa un po' più alta del solito e chiedendo ai suoi molto pressing. La mossa funziona e la squadra disputa una partita di sacrificio che la premia. Quando il Cagliari gioca con umiltà e da piccola squadra che lotta, riesce a portare a casa sempre ottimi risultati.
L'uomo partita: Davide Astori in ottima forma, non fa toccare un pallone all'ex Matri. Esemplare l'anticipo netto su cross dalla destra a metà ripresa.
La sorpresa: Daniele Dessena sta crescendo di partita in partita. Morde le caviglie e sta imparando ad inserirsi frequentemente in attacco. Il piede non proprio educatissimo non aiuta però le sue sortite.
La delusione: nessuna delusione in questo match, forse il meno appariscente risulta essere Perico, che non sfrutta lo spazio lasciato sugli esterni dal gioco della Fiorentina. Impeccabile, per contro, in fase difensiva.
La conferma: Albin Ekdal è ovunque, rattoppa in difesa e imposta le azioni d'attacco. Sta diventando un centrocampista completo.
La classifica: 14° il Cagliari con 24 punti. 5 vittorie, 9 pareggi e 8 sconfitte. 21 reti fatte e 31 subite su 22 gare. Tre punti puliti, che portano i sardi a +7 sulla zona calda della coppia Livorno-Sassuolo.
Prossime gare: 9 febbraio Sampdoria-Cagliari, 16 febbraio Cagliari-Livorno, 23 febbraio Inter-Cagliari.

lunedì 3 febbraio 2014

IL FIORETTO E LA SPADA

Immagine tratta da gazzetta.it
Il match: allo Juventus Stadium va in scena il Derby d'Italia contro l'Inter, una delle sfide più sentite per i tifosi bianconeri, soprattutto dopo le recenti polemiche e dichiarazioni in seguito allo scambio Vucinic-Guarin saltato all'ultimo. I padroni di casa non possono disporre di Buffon, squalificato, e dell'influenzato Quagliarella, ma ripropongono Pirlo in regia e Chiellini a sinistra nella difesa a tre, con il solito 3-5-2 e il duo terribile Tevez-Llorente davanti. Inter senza l'infortunato Cambiasso, una grave perdita in mezzo al campo, e con Guarin non convocato, Mazzarri propone anche lui il 3-5-2, anche se è più un 3-5-1-1 con Alvarez a sostegno dell'unica punta Palacio. In tribuna i rispettivi colpi del mercato di gennaio, Osvaldo per la Juve, Hernanes per l'Inter.
La partita: ritmo e partita in mano alla Juve, che lascia gestire il pallone all'Inter solo per attaccarla quando si scopre e sfruttare al massimo il suo potenziale offensivo. Dopo un doppio miracolo di Handanovic su Tevez, al quarto d'ora Pirlo sfodera il fioretto e traccia l'assist per il taglio vincente di Lichtsteiner, che sblocca la sfida. I bianconeri gestiscono abbastanza serenamente per tutto il primo tempo, anche se rischiano sul solito errore di Bonucci a metà campo che da inizio ad un tre contro due sprecato malamente da Palacio. A inizio ripresa, deposte le armi di fino la Juve attacca a spada tratta e piazza l'uno-due che chiude i conti: colpiscono due gladiatori della squadra, prima Chiellini su una carambola in area dopo un angolo, poi Vidal che risolve un'altra mischia con la difesa avversaria che gioca alle belle statuine. Chiuso il match, i bianconeri rallentano il ritmo per gestire la gara, forse troppo perché l'Inter trova il gol sugli sviluppi di un corner con Rolando e spreca il possibile 2-3 con Palacio, davvero in serata no. Nel finale, manca solo il lieto fine per il figliol prodigo Vucinic, promesso sposo poi rifiutato proprio dall'Inter, che vede l'urlo del gol fermarsi sul palo.
La chiave tattica: ciò che colpisce è la tanta, troppa libertà concessa a Pirlo, che inventa il gol del vantaggio senza neanche un minimo di pressione addosso e per tutto il primo tempo distribuisce palloni a destra e a manca. La precisione e il cinismo sottoporta di inizio ripresa chiudono poi una sfida mai seriamente in discussione.
Il migliore: stasera merita il premio l'intero centrocampo bianconero, che sotto la guida del suo barbuto direttore d'orchestra mette in scena una sinfonia perfetta. Nota di merito in particolare a Lichtsteiner, il più in forma di tutti nell'ultimo mese.
La conferma: ciò che si è visto nell'ultima mezz'ora di gioco ribadisce ancora una volta che la Juve ultimamente fatica a gestire il ritmo una volta acquisito il risultato. Contro Samp e Inter è andata bene, ma in futuro non sarà sempre così.
La delusione: nell'anno nuovo Carlitos Tevez sembra aver smarrito la via del gol. Intendiamoci, il suo lavoro per la squadra e l'impegno sono encomiabili, e stasera ha trovato di fronte un Handanovic in gran fornma ma a una punta si chiede comunque, e principalmente, di buttarla dentro...
La sorpresa: in negativo, stupisce la pessima serata di Palacio, che si mangia almeno due grandi occasioni da rete, la prima sull'1-0. L'anno scorso aveva fatto centro sia all'andata che al ritorno contro i bianconeri, stavolta il Trenza ha clamorosamente steccato la partita.
La classifica: 59 punti e vetta solitaria per la Juve, che in casa mantiene il 100% di vittorie e continua a viaggiare ad un ritmo incredibile, con 9 lunghezze sulla Roma che deve recuperare la sfida contro il Parma e ben 15 sul Napoli.
Prossime partire: 9 febbraio, Verona-Juventus; 16 febbraio, Juventus-Chievo; 20 febbraio, Juventus-Trabzonspor (Europa League).

sabato 1 febbraio 2014

JOLLY O PACCHI?

Immagine tratta da cagliaricalcio.net e modificata su befunky.com
Mercato del Cagliari concluso. Acquisti: Silvestri, Bastrini, Vecino, Adryan, Leeds United. Cessioni: Adan, Agazzi, Ariaudo, Nainggolan, Rui Sampaio.
Il bilancio sorride, ma il piatto tecnico piange. L'acquisto più importante è il Leeds United, il nuovo giocattolo di Cellino, Serie B inglese. Se non fa attenzione, il Presidente potrebbe trovarsi a breve due squadre di Serie B. Il Cagliari sembra essersi pericolosamente indebolito.
La cosa più preoccupante è che oltre agli 11-12 titolari, (Avramov; Pisano, Rossettini, Astori, Murru; Ekdal, Conti, Dessena; Cossu; Sau, Ibarbo o Pinilla) in panchina c'è il nulla.
Nei portieri abbiamo Silvestri, che può essere un buon prospetto, ma di nessuna esperienza in Serie A, e con tutte le difficoltà del dover conoscere la massima serie a stagione in corso.
In difesa: Perico (che è un onesto mestierante, ma non vede il campo da secoli), Bastrini (mai un campionato da titolare fisso in B), Del Fabro (buon prospetto ma di 18 anni e 4 presenze in A), Oikonomou (oggetto misterioso che deve ancora esordire) e Avelar (messo sul mercato, spedito a Leeds e poi tornato indietro, quindi scontento e anche lui scomparso dal campo negli ultimi mesi).
A centrocampo c’è Eriksson (dopo 2 anni ancora in fase di ambientamento), Cabrera (al Cagliari solo perchè è uruguayano, ma pare sempre un 18enne promettente quando di anni ne ha 27), ora si aggiunge Vecino (garanzia uruguayana anche lui? 4 presenze in A con la Fiorentina, in pratica non si è mai visto), Adryan (il fenomeno brasiliano, che prima che Lopez possa reputarlo pronto per la Serie A passeranno mesi).
In attacco Nenè e le sue 111 presenze e 20 reti nel Cagliari, ed Ibraimi uno degli oggetti misteriosi di questa stagione e nulla altro.
Ora, non c’è un calciatore che sia uno che possa essere una garanzia, sono tutte scommesse o quasi. Se uno dei titolari dovesse malauguratamente farsi male, chi si sentirebbe sicuro a far alzare uno di questi dalla panchina? Siamo di nuovo alla speranza che tra gli sconosciuti si sia pescato il jolly. Ma, per un Ibarbo fenomeno, abbiamo accolto tanti pacchi (Larrivey, El Kabir, Thiago Ribeiro, Rui Sampaio, Eriksson, Cabrera solo per citare gli ultimi).
Si è fatto mercato come se si fosse a 30 punti ed a un passo dalla salvezza, ma non è proprio così. Le squadre dietro si son tutte rinforzate, ed il Cagliari si è indebolito. In un periodo in cui è reduce da una serie di 6 partite senza vittorie.
Anche la mossa di regalare Agazzi al Chievo è stata avventata, si è avvantaggiata una rivale per la salvezza, che cercava un sostituto per Puggioni. Al limite, conoscendo il Presidentissimo, invece di aiutare il Chievo, poteva lasciarlo a fare il dodicesimo sino a giugno, non avrebbe fatto male a nessuno. E così per Ariaudo, andato a rinforzare proprio il Sassuolo, altra diretta concorrente.
Insomma, se invece del jolly si sono pescati i pacchi, la permanenza in A dovrà essere conquistata con le unghie e con i denti, lottando punto su punto sino alla 38esima giornata.