martedì 26 novembre 2013

UNA NOTTE DI SORPRESE

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Il match: la Roma per agguantare la Juve in vetta alla classifica, il Cagliari per dare un seguito alla vittoria con il Toro. Due defezioni in casa giallorossa: capitan Totti e Balzaretti, mentre in casa cagliaritana mancano Nainggolan (appiedato dal giudice sportivo), Agazzi ed Ekdal. Partita a senso unico: la Roma attacca e il Cagliari si difende, cercando di pungere in contropiede. Ne escono almeno 4/5 grandi parate di Vlada Avramov e 1 di De Sanctis. Finisce 0-0. La Roma recrimina per la serata di grazia del 34 enne estremo difensore serbo, il Cagliari mette nel paniere un punto d'oro per la corsa salvezza. E' andata di lusso insomma.
La chiave tattica: entrambe le squadre mettono in campo un tridente leggero, la Roma con Gervinho-Ljajic-Florenzi e il Cagliari con Ibarbo-Cossu-Sau. La squadra giallorossa però riesce spesso a sfondare sugli esterni. I terzini sardi vanno a chiudere sugli esterni offensivi, mentre manca quasi sempre il raddoppio su Maicon e Dodò, che risultano spesso pericolosi.
L'uomo partita: indubbiamente Vlada Avramov, 34enne portiere serbo del Cagliari, alla migliore gara in carriera. Almeno 4 interventi prodigiosi (quelli su Strootman e Maicon su tutti), e una sicurezza tra i pali che Agazzi quest'anno se la sogna. Propone la sua candidatura per il posto da titolare sin da domenica, considerando papere e contratto in scadenza del buon Michael.
La sorpresa: oltre al già citato Avramov, svetta Sebastian Eriksson, 24enne centrocampista svedese. Gran gara di sostanza, ben posizionato, non perde un pallone ed è deciso nei contrasti. E' un centrocampista di quantità, con un buon tiro dalla distanza. Dandogli un po' di fiducia, il Cagliari potrebbe aver trovato il sostituto di Nainggolan in casa. Alla terza stagione sarda. Tra lui ed Avramov, è stata una notte di sorprese.
La delusione: Marco Sau è in involuzione, fa bene Lopez a schierarlo, perchè magari con un gol si sbloccherebbe. Ma il bomber di Tonara (1 sola rete all'attivo quest'anno) è una pallida controfigura del folletto della passata stagione. Nullo in fase conclusiva, sbaglia alcune facili situazioni da contropiede. Speriamo si riprenda.
La conferma: Victor Ibarbo è l'uomo in più del Cagliari. Corre come un dannato, dribbla, recupera, aiuta la difesa. Non ha un ruolo definito. Come ala destra sarebbe splendido. A patto di giocare in una squadra che lo faccia risaltare, il Cagliari inizia a stargli stretto, proprio perchè non costruisce la squadra su di lui.

lunedì 25 novembre 2013

ADDII E SLIDING DOORS

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Ad Interlagos si è chiuso un Mondiale incantato sullo stesso spartito ormai da Agosto, con le vittorie in serie del quadricampione Vettel, arrivato a 9 consecutive e 13 stagionali. Record e record, tanto per cambiare.
Podio anche per Webber, all'ultima gara della carriera (con un giro d'onore meraviglioso senza casco) e per Alonso, primo degli "umani".
Massa, che chiude la sua esperienza ferrarista durata 8 stagioni, con un 7° posto che poteva essere 4° senza una strampalata penalizzazione della Fia per aver oltrepassato con le quattro ruote la linea di delimitazione dei box. D'altronde la triste barrichelizzazione nel tempo di Felipe, non poteva che concludersi con un finale del genere.
Molto carino l'omaggio di Vettel al compagno Webber allo start, quando decide di replicare perfettamente la mossa distintiva dell'australiano: la partenza da bradipo. Il buon Seb, proprio per far capire il margine sugli avversari, decide al pit-stop di montare solamente 3 pneumatici e di far arrivare il quarto direttamente dal retro box, per rendere spettacolare il tutto, mettendoci una decina di secondi in più. Chiude comunque con il gomito fuori dal finestrino 10 secondi prima di Webber. Diamo i numeri: 4 titoli, 39 vittorie, 45 pole e 22 giri veloci, il tutto in sei stagioni e mezza. Povero Webber.
Il rapporto Vettel-Webber è ormai da qualche stagione plafonato sullo status di seconda guida per Mark e di superstar per Seb. Il 14 Novembre 2010 però, la storia poteva essere riscritta. Forse in maniera decisiva. Ultimo Gp della stagione, Abu Dhabi. Alonso 246, Webber 238, Vettel 231. Red Bull in ascesa, con la monoposto più performante del lotto. Alonso ha il fiato sul collo, perderà il Mondiale dietro la meteora Petrov, sbagliando a seguire la strategia del pitstop, marcando Webber (con una strategia da esca) e lasciando il via libera al primo titolo di Seb. La Red Bull per tutto il weekend dà la sensazione di spingere Vettel nella rimonta a discapito di Webber. Sia in qualifica che nelle scelte delle strategie. E va tutto secondo i loro piani.
Ma se quel Mondiale, invece di andare a Vettel, fosse andato all'onesto mestierante Webber? 
Parleremmo ancora dello strapotere di Seb? Mark dopo quella botta psicologica, ha vinto solo 2 Gp in 3 anni (uno regalato da Vettel in Brasile nel 2011), mentre Seb ha collezionato numeri da marziano.
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E il triangolo rosso Massa-Alonso-Raikkonen? Ha una data di svolta? Una sliding doors? 
Ebbene sì, la maledetta molla di Barrichello (proprio sinonimo di sfortuna!) all'Hungaroring che colpisce Massa sul casco, in uno dei pomeriggi più angosciosi degli ultimi decenni. 25 Luglio 2009. Da quella data cambia la carriera di Felipe. ancor più rispetto alla beffa del Mondiale perso all'ultima curva a Interlagos nel 2008. Felipe non vincerà più una gara, non farà più una pole, raggranellerà solamente 8 podi in 4 stagioni. Quella molla spinse la Ferrari, con il contratto di Alonso già in tasca per il 2010, ad aspettare il completo recupero del pilota paulista, dando il benservito a Kimi Raikkonen, con un anno di contratto senza correre pagato profumatamente da Santander, sponsor personale di Nando. Alonso-Raikkonen poteva essere la coppia in rosso già dal 2010, quattro anni prima. 4 anni in cui Massa si è progressivamente barrichelizzato, accettando umiliazioni ingiuste, come ad Hockenheim 2010 dove cedette la vittoria a Nando nel celebre "Nando is faster than you", e come ad Austin 2012, indietreggiato in griglia per favorire la rimonta dello spagnolo, con una sostituzione del cambio fittizia.
Massa nel 2010 avrebbe sicuramente trovato una sistemazione migliore della Williams 2014 (non era un mistero il corteggiamento della McLaren), senza perdere tempo, perchè così è stato 4 anni di carriera. 4 anni di gratitudine della Ferrari verso Massa, e di Massa verso la Ferrari, senza avere il coraggio di dirsi addio al momento giusto. 
Immagine tratta da formula1.com
E se poi, in sostituzione di Massa, Schumacher fosse sceso in pista a sostituirlo, come si era stabilito? 
Avrebbe poi accettato l'offerta triennale della Mercedes, che ne ha ridimensionato la grandezza?
Quella Ferrari era un catorcio nel 2009 (chiedere a Fisichella) e il Kaiser sarebbe o sprofondato (allontanando ogni velleità di rientro in F1) o avrebbe meravigliato (e allora la Rossa cosa avrebbe fatto?). 
Ma con i se e con i ma, la storia (neppure quella di Schumacher) non si fa.
Webber e Massa, da possibili eroi a comprimari.
Due sliding doors, due porte girevoli, che han cambiato i destini di Vettel, Webber, Massa, Raikkonen e anche Alonso e Schumacher. 
Senza queste due date, queste stagioni e il noioso finale di questo 2013 sarebbe stato lo stesso?

lunedì 18 novembre 2013

CHI LOTTAVA E CHI...L'OTTAVA!

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Nella noiosissima gara monososta di Austin vince Seb Vettel. 
La miglior notizia di tutto il carrozzone è che siamo finalmente alla penultima corsa, dopo che ci siamo incantati da oramai 8 Gp sullo stesso andazzo. Una serie impressionante di corse clamorosamente uguali, di fughe solitarie, di domini schiaccianti, di gare decise alla prima curva. Ne beneficiano la vettura più forte (impressionante come riesca ad aprire prima degli avversari il gas in uscita di curva) e il pilota più forte, in uno stato di grazia clamoroso. Red Bull- Vettel è un binomio perfetto. Seb sembra l'unico in pista che non debba preservare le gomme, tira come e quando vuole, ed è talmente perfetto che spara il giro veloce sempre nelle ultime due tornate di ogni gara. L'ottava di Vettel entra nella storia, nessuno prima di lui ne vinse otto di fila. E domenica in Brasile è atteso per la nona. Aggiorniamo i numeri, imbarazzanti: 119 Gp disputati, 38 vittorie, 44 pole position, 61 podi, 22 giri veloci. Chapeau.
E mentre Vettel piazzava l'ottava, c'era chi semplicemente lottava.
Lottava Grosjean, forse alla miglior gara in carriera, nel tener dietro il vecchio cangurotto Webber, arrivando meritatamente secondo. E lottava Webber, contro i segni dell'età sempre più evidenti nelle sue partenze fallaci e ancora senza una vittoria stagionale (contro le 12 di Seb). La partenza-bradipo probabilmente rimarrà negli annali come la sua cifra distintiva.
Immagine tratta da formula1.com
Lottava Hamilton, in versione autista di gomme, che durante i suoi team radio chiedeva sempre e solo del degrado pneumatici, se potesse o meno spingere. Una pena vedere uno dei più talentuosi driver castrato dalle gomme di marzapane. Ma queste son gare di durata o di velocità, verrebbe da chiedersi.
Lottava Alonso, con una Ferrarina sbiadita, che dopo un garone gli consegna solo un 5° posto, segno che proprio non ci siamo. E lottava contro Hulkenberg, tornato l'incredibile Hulk quando la Pirelli è tornata alle gomme con la costruzione del 2012. Un caso?
Lottavano come leoni Perez e Bottas, rispettivamente 7° e 8°. Il messicano, con un camion di soldi forniti da Slim, l'uomo più ricco del mondo, è alla ricerca di un sedile 2014, dopo l'appiedamento dalla McLaren. Il finlandesino dimostra di andare molto più del raccomandato Maldonado (che probabilmente si accaserà addirittura in Lotus!) e non fa dormire sonni tranquilli a Massa.
Ah già. Massa. No, Massa non lottava, finendo 13° portato a spasso dalla sua Ferrari. E con lui Kovalainen, il sostituto di Kimi, portato a spasso dalla sconosciuta per lui Lotus e miseramente 15°.
E non illudiamoci, Valsecchi avrebbe rimediato la stessa magra figura.
Finalmente domenica si chiude. E speriamo si chiuda un'era. Un'era di noia, di Vettel, di gomme ridicole, di piloti costretti ad andar piano e risparmiarsi. Non se ne può più.

lunedì 11 novembre 2013

PER FAVORE, NON CHIAMATELI ULTRAS

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Con una partita come Juventus-Napoli, sarebbe sembrato più che logico scrivere un articolo in merito, parlare di quanto si è visto in campo, su una bella partita che dovrebbe essere uno stimolo per chi si è allontanato da questo sport per convincerlo a tornare allo stadio. Invece, preferisco concentrarmi su un semplice campo di Lega Pro in cui è accaduto qualcosa che altrove sarebbe sconcertante solo pensare, impossibile per chi non vive la realtà calcistica del nostro Paese.
Salerno, stadio Arechi: l'attesissimo derby tra la squadra locale e la Nocerina dura appena 20 minuti, perchè gli ospiti esauriscono i cambi dopo un minuto e rimangono infine in sei, troppo pochi da regolamento per disputare una partita. La vicenda è già assurda raccontata in questo modo, diventa irrazionale e inverosimile se si pensa che quanto è successo è il risultato delle minacce e delle intimidazioni di un pugno di violenti e delinquenti che non vale neanche la pena di chiamare tifosi. La motivazione è da ricercarsi nel pre-gara. Salernitana e Nocerina sono divise da una fiera rivalità, che è più volte sfociata in passato in scontri e violenza. Per evitare il sorgere di nuovi disordini, il Prefetto di Salerno ha disposto il divieto di trasferta ai tifosi ospiti, ma non è riuscita a scoraggiare i rappresentanti della curva. Questi si sono recati a Salerno e hanno intimato con minacce ai propri "beniamini" di non scendere in campo per solidarietà nei loro confronti, e sono riusciti nel loro intento, visto che la squadra è scesa in campo per evitare multe e sanzioni ma ha usato il ridicolo escamotage degli infortuni per far sospendere la sfida. E mentre i dirigenti e l'allenatore della Nocerina presentavano le dimissioni, mentre tutto il mondo del calcio si indignava di fronte a questo spettacolo patetico e desolante, gli unici ad esultare erano questi presunti "tifosi", felici per aver raggiunto il loro scopo.
La domanda che sorge spontanea è: vale davvero la pena di definire "tifosi" o "ultras" queste persone? Che diritto ha una frangia di appassionati di decidere al posto di altri se una partita si deve giocare o meno? Che potere hanno la tessera del tifoso, i Daspo e tutti i provvedimenti restrittivi se ogni volta ci troviamo di fronte a questo annoso problema che affligge tutti gli stadi d'Italia. Io, da amante del calcio e tifoso convinto, sinceramente non mi sento di definire "ultras" e meno che mai "tifosi" questa gentaglia, questa massa di delinquenti che si nasconde dietro ad una bandiera o a uno sport per giustificare azioni che di sportivo e di leale non hanno proprio niente. Sono anni che ci troviamo a parlare sempre dello stesso problema, che assistiamo impotenti a episodi simili a questo, con le susseguenti voci di protesta e condanna che si levano per qualche ora, e poi tutti tacciono e aspettano un intervento non si sa bene da chi, almeno fino al nuovo episodio qualche domenica dopo. Se davvero la Lega tiene al prodotto che sta vendendo, se davvero il movimento sportivo italiano vuole che la gente torni ad amare il calcio dopo tanti scandali, cominci con il dare un segnale forte in queste occasioni. Una minoranza non può comandare sugli altri, coloro che vanno allo stadio sono tutti uguali, che paghino un biglietto o un abbonamento, che siano della curva o della tribuna vip, che seguano la squadra sempre e ovunque o che la vedano solo una volta all'anno. Chi sta seduto tutto il tempo e non dice una parola ha gli stessi diritti e doveri di chi canta dal primo all'ultimo minuto, e non va per questo biasimato, isolato o insultato. Ognuno ha il suo modo di vivere un evento, sportivo e non, si tratta di libertà di opinione, a patto ovviamente di rimanere nei limiti consentiti dalla legge.
I capi delle curve sono noti a tutti, società in primis, hanno precedenti e segnalazioni ma sono sempre là, a comandare e ad imporre le proprie regole come fossero tanti padroni. Che i presidenti e i giocatori inizino a distanziarsi da questa gente, che li isolino e li segnalino a chi di dovere, che boicottino o addirittura facciano sciogliere i gruppi organizzati. Coreografie e incitamento sono parte essenziale del calcio, ma non devono essere seguiti da intimidazioni, minacce o prese di posizione, questo senso di impotenza e rassegnazione deve sparire una volta per tutte. E soprattutto, e questa è la cosa più importante, smettano i giornalisti di definire queste persone "ultras", perché queste persone sono tutto fuorché ciò che il termine ultras rappresenta. Nel dizionario, l'ultras "è caratterizzato da un forte senso di appartenenza al proprio gruppo e dall'impegno quotidiano nel sostenere la propria squadra, che trova il suo culmine durante le competizioni sportive." Nessun accenno alla violenza o alla prepotenza, solo sana passione e convinto tifo sportivo. E' questa l'essenza del calcio e del tifoso, è questo lo spirito con cui si deve assistere ad una partita, che si vinca o che si perda. Che tutti se lo ricordino, nei Palazzi dorati del pallone, prima che questo splendido gioco, già sporco e corrotto da troppi scandali, perda per sempre quel poco di innocenza che gli rimane.

domenica 10 novembre 2013

CHE BRUTTI

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Troppo brutto per essere vero questo Cagliari che ha, immeritatamente, battuto per 2-1 il Torino nel Sant'Elia al solito a capienza ridotta.
Non un reale tiro nello specchio della porta, nessuna idea, zero pressing. Questa la ricetta che propone mister Diego Lopez come soluzione alla crisi delle tre sconfitte consecutive.
Capitan Conti toglie le castagne dal fuoco siglando una doppietta su calcio di punizione, gentilmente aiutato dal non impeccabile portiere granata Padelli.
C'è da dire che il Torino non ha fatto nulla di trascendentale, meritandosi comunque quantomeno di pareggiare, ma è al solito vittima di quell'accontentarsi che si trasforma in terrore di subire reti in prossimità del novantesimo. Reti che da due anni puntualmente arrivano proprio negli ultimi attimi di gioco, come se piovesse.
Rossettini dimostra ancora di essere in crisi persa, lasciando accomodare Immobile in un corridoio che il centravanti di Torre Annunziata sfrutta a dovere siglando la rete del momentaneo pareggio.
Il Torino dopo il pareggio sembra squagliarsi, a fronte di un Cagliari inesistente nella ripresa. E' questa l'unica colpa dei ragazzi di Ventura, che sembrano accontentarsi del pari.
Zero tiri in porta, escludendo le due punizioni piuttosto fortunate del Capitano e una mozzarellina sgonfia di Sau. 
Lopez comincia a metterci del suo già dall'undici di partenza: il Cagliari si schiera con un 4-3-1-2 come tradizione, con l'avventata scelta di Eriksson in luogo di Cossu, Nainggolan schierato dietro le punte, e con Pinilla che non va neppure in panchina. 
Una pena, Ibarbo e Sau buttati in mezzo alla difesa granata, che riesce a tenerli a bada non con troppe difficoltà. Non uno straccio di idea, di gioco, di grinta. Lo stesso Capitano e Nainggolan non danno quella grinta consueta di quando sono in forma. Dessena ed Eriksson centrocampisti di quantità non pervenuti. Sau si conferma in involuzione. Le uniche azioni degne di nota nascono dalle fughe e dai dribbling di Ibarbo, peraltro sempre mandato in campo fuori posizione, centrale contro le difese schierate.
Aberrante poi, dopo l'1-1 granata quella specie di tridente schierato da Lopez, con Ibraimi, Cossu e Ibarbo, ai quali si è aggiunto l'ineffabile Cabrera dopo l'infortunio di Nainggolan.
Molta, molta fortuna. 
Il Cagliari attuale è poca roba, ancor meno dei 13 punti in classifica raggiunti oggi.
Non vorrei dire un'eresia, ma quasi quasi col pessimo, triste e inguardabile Ficcadenti, si vedeva un'idea di gioco migliore. Con Ballardini e Donadoni andiamo proprio sul caviale in termini di gioco. E se sorgono questi dubbi, siamo alla frutta.
Senza idee, senza tiri in porta e senza grinta non si andrà lontano.

lunedì 4 novembre 2013

CHE CONFUSIONE

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Lazio-Cagliari 2-0, Cagliari-Bologna 0-3, Verona-Cagliari 2-1.
Tre su tre in una settimana, roba da medaglia d'oro. E in tre partite i tiri in porta si contano sulle dita di una mano. Alla faccia di chi, dopo la prima sconfitta all'Olimpico contro la balbettante Lazio, aveva benedetto il turno infrasettimanale, al fine di mettere subito nel dimenticatoio la pessima prova offerta nel posticipo di domenica scorsa. Il bello del turno infrasettimanale è che giochi subito, recuperi subito. 
Alla faccia: due ganci in pieno viso, prima dal Bologna e poi dal Verona. Mica dal Barcellona e dal Real. 
Queste tre partite mettono il punto esclamativo sulla crisi del Cagliari. Ai tre avversari, infatti, basta mettersi dietro, lasciar giochicchiare i sardi, per poi affondare come coltello nel burro nella pessima fase difensiva di questa stagione.
Lazio, Bologna e Verona non fanno nulla di trascendentale. Non ti mettono sotto dall'inizio alla fine, non fanno azioni spettacolari. Sono squadre bruttine, ma pratiche. Contropiedi ficcanti, gestione ragionata della partita. Non tirano in porta molto, ma ci mettono convinzione e ogni tiro va al bersaglio. E si è preso una valanga di gol sui calci piazzati, dove la squadra pare schierata da un dilettante allo sbaraglio.
Il Cagliari è vittima del suo piacersi. Una miriade di passaggini tra Astori, Rossettini, Murru, Pisano (o Perico), Conti, Nainggolan e stop. E si torna indietro. Non c'è l'idea di gioco per portarla in avanti questa palla. Probabilmente i rossoblù hanno uno dei possessi palla maggiori tra linea di difesa e trequarti campo, ma poi torna indietro. Non un passaggio illuminante del numero 10, non un'apertura illuminante alle ali, non un pallone giocabile alle punte, che non hanno mai occasione di tirare in porta. E Lopez, che in panchina non ha un'esperienza di lunga data, è andato in centrifuga.
Immagine tratta da televideo.it
Con la Lazio, Pinilla match-winner con il Catania si accomoda in panchina, per il fuori forma Sau. Così fa Cossu, che lascia spazio all'inguardabile Cabrera. 
Con il Bologna, cade di fronte al falso assioma più giocatori offensivi = più gol. Improbabilissimo e sfilacciato 4-2-3-1 con Conti e Nainggolan mediani lontanissimi dai quattro giocatori d'attacco. Risultato: nessun tiro in porta, Cossu disperso sulla trequarti lontano sia dai centrocampisti, sia dalle punte, Pinilla da solo contro la difesa a 5 bolognese. 
Con il Verona torna al 4-3-1-2, ma senza Cossu e Pinilla e con Cabrera, ancora pessimo, e Nenè, che non ha stoppato un pallone neanche sotto tortura. La scelta di Rossettini terzino destro è stata clamorosamente sbagliata, dai suoi errori son derivate entrambe le segnature scaligere. La scelta in corsa dell'inserimento di Ibarbo catastrofica. Il colombiano viene schierato da solo contro la difesa ad oltranza dei veronesi, si perde, scompare. Non è una punta, lo capirebbe anche Stramaccioni, su. 
Bisogna ripartire dalle basi. Dalle basi del calcio. Non intestardirsi sul 4-3-1-2 se manca Cossu. Cabrera è impresentabile. Ibarbo è un'ala, va messo ala, al lato del campo, stop. Avelar è l'unico in squadra che sa crossare, ma difende male? Bene, ala anche lui, senza compiti difensivi che non sa sbrigare. Una prima punta come Pinilla, rende bene se ha un piccoletto di fianco, tipo Sau. Prima e seconda punta.
Il calcio è un gioco semplice, come spiega la Roma. Nella confusione, si va sul sicuro. 4-4-2 quadrato e stop. Pisano, Rossettini, Astori, Murru nei quattro dietro, belli bloccati, perchè quest'anno non si sa difendere. Ibarbo, Conti, Nainggolan, Avelar nei quattro di centrocampo. Con Conti e Nainggolan a proteggere e smistare i palloni vuoi sulle ali, vuoi sulla seconda punta che accorcia a collante di centrocampo e attacco. E davanti Sau (o Cossu) a sostegno di Pinilla. Seconda e prima punta. Senza confusioni. Bruttini ma quadrati. Il 4-4-2 lo sapranno fare anche in Uruguay no? 

sabato 2 novembre 2013

CAMBIANDO L'ORDINE DELLE LATTINE...

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.come e modificata su befunky.com
Sorpresa in quel di Abu Dhabi. L'ottuagenario nonno Mark Webber alla 215esima e terzultima gara in carriera piazza la pole position. Un decimino prima del quadricampione Seb Vettel, che da cannibale si mangerà le mani per essersi fatto beffare dal compagno di box.
Pole numero 14 per il canguro, che ha come mossa in pista distintiva la partenza da bradipo.
Domani bella gatta da pelare per il muretto delle lattine Red Bull: far vincere Webber (start permettendo) come ringraziamento per le sette stagioni nel team e placare il pensiero stupendo della settima vittoria consecutiva di Vettel, o inventare la classica sosta in più per l'australiano, o il problemino consueto all'alternatore, per permettere al tedeschino di vincere facile ancora una volta?
Si vedrà domani.
Immagine tratta da formula1.com
Per la sezione "altri", piccola rivoluzione anche lì. Rispetto alle ultime gare troviamo Nico Rosberg qualificarsi davanti a Hamilton, che va in testacoda sul finale per la rabbia. Mercedes che partiranno dalla seconda fila, pronte a difendere la piazza d'onore in graduatoria dalla Ferrari. Impresa che non sembra impossibile, tutt'altro, data l'inconsistenza della Rossa di Maranello. Anche qui, Massa (8°) davanti ad Alonso, undicesimo e tagliato in Q2. Da quando Felipe ha ufficializzato l'addio sembra essersi risvegliato. O forse Nando s'è addormentato una volta che il titolo è sembrato ancora una chimera. Sta il fatto che per domani le prospettive sono fosche, foschissime, nere. Un secondo netto in qualifica, e un passo gara balbettante. Finale di stagione calantissimo in pesante crisi, che rischia di vedere il Cavallino superato anche dalla squattrinata Lotus. 24 punti di ritardo che la coppia Kimi-Grosjean hanno già messo nel mirino.
Mini-insubordinazione rispetto all'ultimo trend anche qui: Raikkonen rifila mezzo secondo al francesino, e partirà quinto, con Romain settimo. In mezzo al panino Lotus, chi nella Lotus vorrebbe starci nel 2014, Hulkenberg, al solito notevole.
Da notare come Raikkonen tornando con la monoposto a passo corto, è sembrato subito molto più in palla delle ultime uscite. La coppietta finnico-francese si candida per il podio, data la consistenza nel passo gara.
Il terzo gradino. Perchè per i primi due, non c'è storia. Che vinca uno o l'altro.
Cambiando l'ordine delle lattine...

venerdì 1 novembre 2013

"MAGICA" COME NON MAI

Immagine tratta da laguidadelcalcio.it
Dieci vittorie su dieci partite disputate, record assoluto per la serie A a girone unico, 24 reti realizzate ed appena una subita, porta di casa ancora inviolata e ben 11 giocatori diversi a segno. Basterebbero solo questi pochi numeri per dare un'idea di quanto sia impressionante quello che sta facendo la Roma in questa nuova stagione di serie A. Un inizio spaventoso, imprevedibile alla vigilia e ancor più strabiliante se si pensa al gioco espresso e all'autorità mostrata in campo. Un exploit che ha sorpreso un po' tutti e sta scaldando sempre di più una piazza e una città in cerca di rivincite e risultati dopo una serie di annate deludenti, e che ha radici proprio nel recente passato, tutt'altro che positivo.
La scorsa stagione era stata altalenante e troppo discontinua, con un cambio di allenatore (da Zeman ad Andreazzoli) a campionato in corso, la seconda esclusione consecutiva dalle Coppe Europee e, ciliegina sulla torta amara, la sconfitta nella Finale di Coppa Italia ad opera degli acerrimi rivali della Lazio, che ha ulteriormente inasprito gli animi e incendiato la piazza. Così, per la terza estate consecutiva in casa Roma si è resa necessaria una rivoluzione, in primis nella dirigenza e in panchina, e poi nella rosa di giocatori. Salutato Franco Baldini, con conseguente cessione dei pieni poteri a Walter Sabatini, e dopo qualche no da parte di nomi eccellenti (Mazzarri, Allegri, Blanc), alla fine si è scelto di puntare su un allenatore semisconosciuto in Italia, ma decisamente apprezzato nel suo paese: Rudi Garcia. Francese di chiare origini spagnole, 49 anni, questo tecnico ha al suo attivo un double Scudetto-Coppa nazionale realizzato con il Lilla nel 2011, e come marchio di fabbrica un gioco offensivo e veloce, con tocchi rapidi e di prima e tanto pressing per interrompere sul nascere le manovre avversarie. Carattere forte e idee molto chiare nella testa, Garcia si è subito presentato ai nuovi tifosi come un allenatore sicuro di sé e in grado di fronteggiare un ambiente ostile e ancora scottato per le ultime delusioni. Le sue indicazioni sono state molto utili per ricostruire e sistemare la squadra, con operazioni di mercato chiaramente ispirate alle sue idee tattiche e tecniche. Così è partita la seconda fase della rivoluzione romana, con tante cessioni, qualcuna anche un po' dolorosa, e acquisti in grado di sostituire e possibilmente non far rimpiangere i partenti.
Gli effetti di questo cambiamento, tecnico e di uomini, sono adesso visibili agli occhi. La difesa, l'anello debole degli anni passati, adesso è uno dei fiori all'occhiello del lavoro di Garcia, con un solo gol incassato, peraltro in trasferta. Merito di alcuni acquisti praticamente a costo zero, come il portiere De Sanctis e il terzino Maicon, e un solo investimento oneroso ma ben giustificato come Benatia. Anche centrocampo e attacco sono stati rinforzati secondo il suo credo calcistico, con la geometria di Strootman e la verve e pericolosità di Ljajic e Gervinho, quest'ultimo considerato una punta di livello modesto in Premier e letteralmente rifiorito in Italia. I gol non sono più a carico dei soli attaccanti, sono andati a segno undici marcatori diversi, e soprattutto nessuno è esonerato dal sacrificarsi e dal lavorare per il gruppo. La vera abilità del tecnico francese però è stata quella di rigenerare e ridare fiducia a giocatori che erano in crisi, criticati dalla piazza o addirittura invitati espressamente ad andarsene. Balzaretti è tornato quello di Palermo dopo un anno in cui è stato praticamente assente, De Rossi è di nuovo Capitan Futuro, il leader e l'esempio in mezzo al campo, Pjanic da nemico per la sua (presunta) cena con il laziale Lulic è il regista e l'uomo in più nella costruzione del gioco, Borriello ha ritrovato continuità, si sacrifica e lotta come mai per la squadra, ed è stato decisivo nella decima vittoria, quella di ieri contro il Chievo. Il resto l'ha fatto l'abile regia di Sabatini, che ha sì sacrificato pedine giovani e importanti come Marquinhos e Lamela, oltre agli odiati e ormai indesiderati Stekelemburg e Osvaldo, ma così facendo ha potuto operare meglio sul mercato, chiudendo per la prima volta con un attivo nonostante i tanti cambiamenti in rosa.
Da tutti questi movimenti e cambiamenti, e non solo, sono scaturite queste dieci vittorie consecutive, un record assoluto per la serie A, e soprattutto una mentalità vincente e una convinzione sempre più grande, che candida questa Roma ad essere una seria pretendente per lo Scudetto. L'assenza dalle coppe potrebbe essere un ulteriore vantaggio nel periodo caldo della stagione, quando le rivali saranno ancora in corsa in Europa e potrebbero perdere energie e uomini preziosi. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma di certo con la guida sicura di Garcia e la leadership di simboli come l'eterno, inimitabile Francesco Totti possono mantenere la squadra con i piedi per terra e far sognare ancora a lungo i tifosi, per rendere questa Roma più "magica" che mai.