mercoledì 31 luglio 2013

NANDO TRA ALAIN E MICHAEL

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Nell'incontro post Gp con la stampa, Fernando Alonso ha mollato delle vere e proprie bordate verso la Ferrari, dapprima chiedendo (non si sa quanto scherzosamente) una Red Bull per il suo compleanno, e poi facendo notare (poco elegantemente) che da quattro stagioni la Rossa mette in pista una vettura 1 secondo più lenta degli avversari.
Il che è fondamentalmente vero, ma questi sfoghi dovrebbero avvenire all'interno del motorhome della squadra, o quantomeno non resi noti alla stampa. Questa azione di Alonso non è stata gradita dalla Scuderia, che ha manifestato con tanto di articolo sul sito ufficiale il  disappunto sulle dichiarazioni "che non sono piaciute nè al Presidente nè alla squadra", e riportando l'osservazione di Montezemolo che ha ricordato ad Alonso che in Ferrari gli interessi di squadra si pongono davanti a quelli del singolo.
La mossa di Alonso è stata decisa, netta, per nulla improvvisata. Così come lo scompiglio provocato dalla visita del suo manager proprio al capo Red Bull, Chris Horner, nello stesso fine settimana. La versione ufficiale dell'incontro, di una summit per parlare del futuro del giovane talento Carlos Sainz Jr, non convince. Specie in concomitanza dello sfogo di Nando.
Alonso è in Rosso da 4 stagioni, 4 pole, 11 vittorie e due Mondiali persi all'ultima gara.
A 32 anni Nando è ad un bivio. E' tra Prost e Schumacher. 
Alain arrivò in Ferrari da tri-campione del mondo a 35 anni nel 1991. Nella prima stagione perse il Mondiale in Giappone con la speronata "vendicativa" di Senna, e nella seconda venne licenziato in tronco a una gara dalla fine per aver definito la guidabilità della F642 pari a quella di un camion. Il tempo passava per Prost, insofferente e che mal sopportava l'idea di guidare un mezzo non competitivo ed aveva fretta di vincere. Per la cronaca dopo il licenziamento, Alain si prese un anno sabbatico, per poi tornare nel 1993 alla guida della monoposto migliore, la Williams conquistando il suo quarto Mondiale.
Schumacher arrivò da bi-campione alla Ferrari relativamente giovane, a 27 anni. Ma per il titolo dovette attendere ben cinque stagioni, tra Mondiali persi all'ultima gara (1997 e 1998), l'infortunio del 1999 e la stagione d'esordio del 1996 con una Ferrari non ancora pronta per il Mondiale.
Michael tenne duro, riuscì a non cedere alle tentazioni Williams e McLaren, mai una parola fuori dalle righe e colse i magnifici 5 titoli consecutivi, che l'hanno issato in vetta alla storia della F1. 
A 31 anni colse il primo alloro in Rosso.
Alonso è a un bivio, deve scegliere se anteporre i suoi interessi a quelli della squadra. La squadra è stata sempre prostrata ai suoi piedi, arrivando perfino ad umiliare Massa (ricordiamo l'arretramento in griglia ad Austin per far partire il più avanti possibile Nando), ed l'asturiano sta ripagando tutto questo con parole poco eleganti.
La Ferrari non l'ha mai criticato in 4 anni, mai una parola che non fosse di ammirazione e ringraziamento per lo spagnolo. Ed Alonso quest'anno invece sta dando più di un segno di insofferenza, prima non presentandosi nei primi test invernali, poi saltando i test di metà stagione a Silverstone, poi con le bordate mediatiche. Qualcosa si è rotto. La Rossa ha una Storia, di quelle che contano. E non può accettare certe cose.
La Bild parla di una Ferrari che ha offerto un contratto a Kimi Raikkonen, quel Kimi Raikkonen ultimo campione in Rosso nel 2007 e licenziato senza troppi complimenti per far proprio posto allo spagnolo, con lo sponsor personale di Nando che dovette pagare penale e ingaggio anticipato al finlandese per il licenziamento. Una mossa clamorosa, tanto per far capire ad Alonso che i Campioni passano, ma la Ferrari resta.

domenica 28 luglio 2013

HAMILTONRING

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Che Lewis Hamilton! L'anglo-caraibico della Mercedes tira fuori dal cilindro una delle gare più belle della sua carriera e va a vincere il Gran Premio d'Ungheria. Vittoria mai messa in discussione, che ha avuto il suo punto chiave nella qualifica straordinaria del sabato e nell'ottimo ritmo imposto alla corsa sia in partenza, che nei momenti chiave della gara. Hamilton pone il suo quarto sigillo sulla pista magiara, dopo quelli del 2007, 2009 e 2011.
Ci ha messo molto del suo talento velocistico, e dimostra di essere tra i migliori piloti visti sulle piste negli ultimi anni. I numeri della Mercedes cominciano ad essere notevoli, su 10 appuntamenti iridati ha piazzato 7 pole (3 Rosberg e 4 Hamilton) e 3 vittorie (2 Rosberg e 1 Hamilton). Michael Schumacher si è ritirato sul più bello, quando dopo 3 anni di vacche magre, magrissime, poteva finalmente passare alla cassa. Peccato.
Immagine tratta da formula1.com
Spettacolare e consistente è anche Kimi Raikkonen, che a 33 anni ha raggiunto la sua piena maturità agonistica, è veloce ed è uno stratega perfetto e consistente. Recupera sino alla 2a posizione una gara che nei primi giri l'ha visto intruppato alle spalle di Massa per larghi tratti. Il finlandese va per la tattica a due soste, emerge alla distanza e beffa Vettel, chiudendolo con grinta ed esperienza nell'unico tentativo d'attacco sferratogli dal tri-campione tedesco. Seb può permettersi anche di accontentarsi del podio, date le 38 lunghezze di vantaggio sull'immediato inseguitore in graduatoria. Detto del tedeschino, 3°, che all'Hungaroring è partito il venerdi da papa e la domenica ne è uscito come cardinale, Webber è autore di una gara maiuscola che lo vede tagliare il traguardo al 4° posto, maledicendo i problemi che non gli han permesso di disputare la Q3.
Alonso è anonimo 5°, a -39 da Vettel in classifica. Senza guizzi, senza passo gara, l'asturiano continua a parlare di risultato oltre le potenzialità. E allora la situazione della Ferrari è ultra-disastrosa. Qua in Ungheria aveva davanti Mercedes, RedBull e Lotus. I miglioramenti non arrivano, i pezzi che escono dalla galleria del vento vengono accantonati. Crisi tecnica evidente. Il tempo passa. L'ultimo Mondiale è quello del 2007 di Raikkonen, allontanato in tutta fretta e bollato come pilota bollito e inaffidabile. Alonso ha 32 anni e non è campione iridato dal 2006. Si parla di anni ed anni.
Qualche dubbio nella testa comincia a venire, su Domenicali, su Tombazis e Pat Fry, su Alonso. Su Massa sono finiti anche i dubbi. Qualche guizzo in prova, dove si trova spesso nei paraggi di Nando, ma sempre pessimo in gara. Oggi chiude 8°, a 25 secondi da Alonso e chiudendo persino dietro a Button, alle prese con la peggior McLaren del decennio.

Pagelline: 1°Hamilton 10, 2°Raikkonen 8, 3°Vettel 6, 4°Webber 7, 5°Alonso 6, 6°Grosjean 5,5, 7°Button 7,5, 8°Massa 5, 9°Perez 6, 10°Maldonado 7,5, 11°Hulkenberg 6, 12°Vergne 6,5, 13°Ricciardo 5,5, 14°Van der Garde 6, 15°Pic 6, 16°Bianchi 6, 17°Chilton 5, RIT.DiResta 6, RIT.Rosberg 5,5, RIT.Bottas 5,5, RIT.Gutierrez 6, RIT.Sutil 6.

172Vettel, 134Raikkonen, 133Alonso, 124Hamilton, 105Webber.
277RedBull, 208Mercedes, 194Ferrari, 183Lotus, 59ForceIndia.

sabato 27 luglio 2013

GRIGLIATA UNGHERESE

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Lewis Hamilton griffa la pole numero 30 in carriera, terza consecutiva dopo Silverstone e Nurburgring e quarta del 2013. L'inglese si dimostra un gran pilota, e soffia per soli 38 millesimi la pole a Sebastian Vettel. La pole del tedeschino sembrava annunciata, ed anzi era molto quotata la doppietta in qualifica delle Red Bull, che con i nuovi aggiornamenti portati sul tortuoso circuito magiaro, sembrano andare sui binari. In configurazione gara specialmente sembrano un gradino sopra tutti.
La festa è stata rovinata dapprima da un guasto del Kers di Webber, che relega lo sfortunato australiano alla partenza in decima posizione, e poi dalla sorpresa della pole dell'anglo-caraibico della Mercedes.
Le Frecce d'Argento che portano anche Rosberg al 4° posto, però, hanno già alzato bandiera bianca per la vittoria finale. La Mercedes qui, ancor più che in altri circuiti, patisce il degrado degli pneumatici, e per domani le temperature dell'asfalto previste sfioreranno i 50 gradi. Povero Lewis.
Immagine tratta da www.formulaone.com
Quindi a meno di clamorosi trenini alle spalle di Hamilton, Vettel avrà la strada spianata e potrà subire qualche fastidio dall'imprevedibile Grosjean, che pare nel weekend con la luna buona, che scatterà 3° e dal lato pulito della griglia. Il pazzo francesino potrebbe essere la sorpresa. In casa Lotus un po' sottotono è Raikkonen, solo sesto, ma pronto ad uscire alla distanza.
Capitolo Ferrari. Alonso è 5° a quattro decimi e Massa 7° a cinque decimi. Si sa che la qualifica è il tasto dolente delle Rosse, ma qui forse partire dietro, seppur dalla parte pulita, è penalizzante più che altrove, data la difficoltà di sorpassare su questo circuito.
Alonso dice di aver fatto un mezzo miracolo, ma il distacco di un decimo tra lui e Massa lo smentisce facilmente. Viene sempre più difficile capire sin dove siano i limiti della vettura e dove arrivino quelli di Nando. Alonso in 4 anni di Ferrari ha fatto solo 4 pole, e da 20 gare non parte in prima fila. Il dubbio legittimo è che Hamilton o Vettel nel giro secco siano migliori dell'asturiano, che riescano a tirare quel qualcosa in più dalla vettura, oltre i limiti della stessa. In gara Alonso per fortuna si riscatta: è sempre grintoso, magnifico e costante, e guida al 110% delle possibilità. Si dirà che i punti si fanno la domenica, ma è anche vero che si preparano il sabato.
Tutti contro Vettel anche domani, è il grande favorito, l'unica preoccupazione è data dalle temperature torride dell'Ungheria che potrebbero andare a mescolare le carte e sgasare le lattine. Pit stop previsti dai 2 ai 3.

Pagelline: 1°Hamilton 10, 2°Vettel 7, 3°Grosjean 7,5, 4°Rosberg 6,5, 5°Alonso 6, 6°Raikkonen 5,5, 7°Massa 6, 8°Ricciardo 7, 9°Perez 6,5, 10°Webber 6, 11°Sutil 6,5, 12°Hulkenberg 6,5, 13°Button 5,5, 14°Vergne 6, 15°Maldonado 6,5, 16°Bottas 6,5, 17°Gutierrez 5,5, 18°DiResta 4,5, 19°Pic 6,5, 20°Van der Garde 6,5, 21°Bianchi 5,5, 22°Chilton 6.

sabato 20 luglio 2013

LA COLPA NON ERA SUA

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Cominciano le cessioni in casa Cagliari, il primo a partire è Thiago Ribeiro, direzione Santos, dopo due anni in rossoblù conditi da 64 gettoni di presenza e 6 reti.
Il Santos ha scelto il brasiliano triste per sostituire nientedimeno che Neymar. La squadra brasiliana era alla ricerca di una seconda punta/ala d'attacco che partisse da sinistra per accentrarsi, così ha contattato dapprima il milanista Robinho e poi l'udinese Maicosuel, per poi concludere l'acquisto di Thiago Ribero con il sodalizio di Viale La Playa per una cifra vicina ai 3 milioni di euro.
Sul sito ufficiale del Cagliari, Thiago ha voluto ringraziare dirigenza, squadra e tifosi, motivando la sua partenza con la nostalgia del suo paese e con il fatto di non concepire un calcio in cui una società non ha uno stadio e deve esibirsi senza tifosi.
Professionista ineccepibile, mai una parola fuori posto e mai un mugugno per le panchine accumulate in particolare durante l'ultima stagione. 
In campo ha dimostrato la sua duttilità soprattutto a livello tattico, svariando nei ruoli di trequartista, ala sinistra e seconda punta.
Il Cagliari perde un'arma tattica molto utilizzata sia dall'accoppiata Ficcadenti/Ballardini nel 2011/12 e da Diego Lopez nel 2012/13.
Detto questo, si può passare ad un'analisi più seria e veritiera.
Finalmente. 
Non per lui come persona, per carità. Ma come giocatore, merita ugualmente un per carità.
Ma in senso negativo. Nè carne nè pesce, si impegnava, ma palesava dei limiti tecnici imbarazzanti.
Stop imprecisi, controlli palla approssimativi e passaggi abominevoli. Dribbling mai visti e classico movimento a rientrare dalla sinistra che ha centrato la porta solo con la Roma nel 2011/12, in presenza di uno Stekelenburg balneare. E pensare che quel movimento l'ha ripetuto ogni singola partita per due anni.
Uno di quei giocatori che si nota che provano a dare tutto, per cui la rabbia non è stata mai rivolta verso di lui, ma verso chi l'ha schierato e verso chi l'ha portato in Italia spendendo una cifra vicina ai 5 milioni di euro. Poi è stato voluto fortemente da mister Ficcadenti, il che è tutto dire. La colpa non era sua.
Ha siglato 6 reti in campionato e 3 in Coppa Italia. Tutte e 9 le reti messe a segno in casa. Per renderci conto meglio possiamo dire che 4 delle 6 squadre impallinate da Thiago ora sono in B (Novara, Siena, Palermo e Pescara) e le restanti due, Roma e Catania, una era in versione Stekelenburg inguardabile e l'altra già salva da qualche settimana.
Insomma, non ha mai inciso, se non a livello tattico come ala sinistra o trequartista. Ma era un trequartista non illuminato e un'ala che non arrivava sul fondo, non crossava e non dribblava. Chiunque arriverà al suo posto, andrà bene.
Ora Thiago va al Santos a sostituire Neymar. Contenti loro. Nel prossimo futuro giocherà il trofeo Gamper contro il Barcellona di Messi. Messi contro Thiago Ribeiro. Inimmaginabile. Da brividi.
Al minuto 3.30 di questo video si capirà meglio perchè Thiago Ribeiro non ci mancherà.

venerdì 12 luglio 2013

IL PATTO CON LA MOTO

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Dopo la rovinosa caduta del venerdì di Assen ed il miracoloso 5° posto in gara a 24 ore dall'operazione alla clavicola, a Jorge Lorenzo stavolta non va bene.
Il maiorchino cade, sbatte forte, ed inclina la placca che gli era stata apposta per facilitare l'assorbimento della frattura scomposta patita in terra olandese.
Morale della favola: nuova operazione e stavolta stop obbligato da parte dei medici di almeno due gran premi. 
Questi piloti della MotoGp sono alle prese con delle vere e proprie belve da domare, scorbutiche, violente, come dei cavalli pazzi che non sai mai quando scodano o quando cercando di disarcionarti. Hanno una potenza mostruosa sotto il sedere. 
Qui al Sachsenring le cadute sono state frequenti e rovinose, oltre a Lorenzo, il "solito" Crutchlow e tutta la famiglia Ducati con Dovizioso, Hayden e Iannone.
Cadute da fiato sospeso, gettati a terra o in aria (come nel caso di Lorenzo) come fantocci, come manichini dei crash test.
E un secondo dopo la paura, il primo pensiero è che sia andata bene pure stavolta, ancora una volta.
Ma i piloti alla paura non ci pensano. La paura non esiste. Appena il polverone della caduta o della scivolata svanisce, si resetta e si cerca di salire subito in moto. Il prima possibile, interi o a metà, con punti ovunque, abrasioni e placche tra le scapole.
L'unico modo per non pensare alla paura e in qualche modo esorcizzarla è stringere i denti a fronte del dolore e risaltare in sella. Il prima possibile. Per correre subito.
La paura non esiste. La morte non esiste. E se esiste, non capita a chi corre in moto.
O capita agli altri.
I centauri sanno che esiste, ma coscientemente o incoscientemente la mettono in un piccolo angolo dei pensieri, come una luce fioca in lontananza. Sanno che c'è, ma fingono di no. E' il loro modo di esorcizzarla. E' il loro patto con la moto. E' un gioco pericoloso, il più pericoloso.
Il Sic in quella maledetta domenica malese, in caduta, pensò di restar un tutt'uno con la sua moto, magari per cercare di tenerla su, per domarla da quel suo imbizzarrirsi. 
Ma la mossa gli costò tutto. 
Chiamò il buio. 
Perchè anche per lui, la paura non esisteva. 
E la morte non esisteva.
E non è nè giusto nè sbagliato, è semplicemente così. Per tutti.

lunedì 8 luglio 2013

WIMBLEDON 2013: LA FINE DI UNA MALEDIZIONE

Immagine tratta da dailymail.co.uk
Chissà cosa avrà pensato ieri pomeriggio da lassù Fred Perry, quando finalmente ha capito che dopo 77 anni non sarà più il britannico più nominato dai suoi conterranei durante la prima settimana di luglio. Dal suo successo contro il tedesco Von Cramm, nell'ormai lontano 1936, nessun suddito di Sua Maestà era più riuscito a imporsi sull'erba di Wimbledon. Ci avevano provato in molti, ma nessuno si era neanche avvicinato al successo, mentre giocatori di tutto il Mondo arrivavano al successo e ricevevano i meritati applausi del popolo di casa. Per i britannici l'attesa è stata lunga e snervante, per oltre 70 anni nessuno di loro è mai andato oltre le semifinali del torneo, e il centrale di Wimbledon a tratti sembrava davvero stregato.
Almeno fino a ieri pomeriggio, quando Andy Murray ha finalmente spezzato la maledizione. Il tennista, scozzese di nascita (e ogni volta che perdeva) ma britannico di formazione, si è imposto con merito in tre set contro il numero 1 del mondo Novak Djokovic, concludendo un torneo che lo ha visto grande protagonista e lo porta finalmente tra i grandi di questo sport. Da tempo accusato di non saper reggere la pressione dei momenti importanti, Murray ha invece mostrato una clamorosa solidità mentale, riuscendo spesso ad uscire da situazioni difficili con freddezza e senza mai perdere il controllo del match. Emblematico il game decisivo della finale, con lo scozzese avanti 40-0 con tre match point, rimontato e quattro volte sul punto di subire il break da Djokovic, ma sempre in grado di non disunirsi e alla fine vittorioso. E' stata anche la grande rivincita di Andy, che solo un anno fa era stato dolorosamente sconfitto in finale a Wimbledon da Federer, ma paradossalmente è stato proprio quello il momento della svolta. Il britannico ha reagito subito dopo, prendendosi l'oro olimpico, sempre sull'erba inglese e proprio contro Federer, poi ha ottenuto il primo successo negli Slam vincendo gli U.S. Open contro Djokovic. Da lì il suo pensiero è andato solo e soprattutto a Wimbledon, saltando il Roland Garros per infortunio ha potuto concentrare allenamento e forze sul torneo di casa, e così si è realizzata la sua impresa. Merito anche del suo allenatore, l'ex campione ceco Ivan Lendl, che pure ha vissuto Wimbledon come un'autentica maledizione, visto che è l'unico torneo dello Slam che non ha mai vinto, perdendo due volte in finale. In qualche modo, Murray ha vinto il titolo anche per lui, come ha dichiarato lui stesso con le lacrime agli occhi a fine match, rendendo merito al suo maestro.
Anche in campo femminile si è assistito alla trasformazione di un brutto anatroccolo in un bel cigno, anche se in questo caso il risultato è stato molto meno atteso. A spuntarla è stata Marion Bartoli, francese di quasi ventinove anni, che si è aggiudicata lo Slam senza perdere nemmeno un set e superando in finale la tedesca Lisicki, rivelatasi troppo acerba ed emotiva per questo grande appuntamento. Quella della transalpina è la vittoria della più classica delle antidive: non appariscente né bella come la Sharapova, sovrappeso anche per scelta del padre-allenatore (diceva che era meglio per lei così non sarebbe stata distratta dai ragazzi...), quasi sgraziata e macchinosa con il suo servizio elaborato e la sua presa bimane sulla racchetta. Eppure la Bartoli, già finalista perdente nel 2007 contro Venus Williams, ha preparato alla perfezione l'appuntamento e si è presa la vittoria finale con merito, mostrandosi sempre solida nelle risposte e nel suo gioco. Anche dietro questo successo c'è la mano di una campionessa, ovvero Amelie Mauresmo, vincitrice in Inghilterra nel 2006 e consulente della connazionale dopo il Roland Garros per permetterle di fare quel salto di qualità che è finalmente arrivato. Curiosamente, la Bartoli ha vinto senza mai affrontare una top ten né un'atleta a lei superiore nel ranking. 
Questa è stata un'altra curiosità di questa edizione di Wimbledon: l'ecatombe delle teste di serie, in campo maschile e soprattutto femminile. Tra gli uomini, due campioni come Federer e Nadal sono stati eliminati già nella prima settimana, rispettivamente al secondo e al primo turno, dall'ucraino Stakhovsky e dal belga Darcis, non proprio due fenomeni della racchetta. Ancora più incredibile quello che è successo tra le donne, con la caduta in serie di Sharapova, Azarenka (entrambe al secondo turno) e soprattutto Serena Williams, numero 1 femminile e vincitrice quest'anno a Parigi ma sconfitta al quarto turno dalla Lisicki. Male purtroppo anche la nostra Sara Errani, che è stata eliminata già al primo turno, ma in generale la spedizione azzurra può dirsi soddisfatta. Per la prima volta nella storia, quattro italiani (Seppi tra gli uomini, Pennetta, Knapp e Vinci tra le donne) hanno raggiunto il quarto turno di Wimbledon, anche se poi hanno perso tutti senza ottenere neppure un set. Il doppio non ha portato grandi risultati, con il duo Errani-Vinci che si è confermato allergico all'erba, uscendo sconfitto già al terzo turno. La più grande soddisfazione per l'Italia però è arrivata dal torneo juniores, dove il diciassettenne Gianluigi Quinzi ha vinto il titolo, confermandosi uno dei migliori prospetti a livello giovanile. Prima di lui, solo Diego Nargiso nel 1987 aveva ottenuto un simile riconoscimento, anche se poi la sua carriera non aveva rispettato le attese. Ci auguriamo che per il giovane Quinzi le cose vadano meglio, e che dopo tanti anni di attesa torni finalmente a brillare una stella azzurra nel tennis maschile. Del resto, come i britannici hanno insegnato, l'attesa può essere lunga e difficile, ma quando poi la vittoria arriva, il suo sapore è ancora più dolce.

domenica 7 luglio 2013

NON SI BATTE

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.com e modificata su befunky.com
Vettel non si batte. Non si batterà nel 2013. Anima in pace ed amen.
Vince sempre, rompe il tabù tedesco che non lo vedeva mai trionfante nel Gp di casa e si porta a quota 30 vittorie in 110 apparizioni in carriera. 
Dritto dritto filato e in discesa per il Mondiale numero 4 consecutivo. A 26 anni. Roba che dal divano svizzero pure il buon Schumacher inizia a preoccuparsi seriamente.
Oggi vince bene, va detto. Parte alla grande, non si fa intimidire dalla mossa di Hamilton al via, e per tutta la gara è braccato dalle Lotus, prima quella di Grosjean e poi Kimi Raikkonen, spesso sotto il secondo di distacco. Ma mai una sbavatura, un bloccaggio, nulla.
Merita. Ha un missile sotto il sedere con cui forma un tutt'uno dalla prima volta che ha messo piede in Red Bull. Il prossimo anno accetterà il confronto con Raikkonen o preferirà un compagno più "morbido" come Ricciardo? 
Il distacco in classifica sale a 34 punti su Alonso, oggi quarto e 41 su Raikkonen, secondo.
Per il quarto iride è solo questione di tempo, anche perchè la Red Bull migliora costantemente, come nella stagione passata da un punto in poi diventa imprendibile.
Sul podio si alternano gli altri: una volta le Lotus, una volta le Mercedes, un'altra le Ferrari, ma non c'è costanza, l'unica costante è Seb. Se non si fosse ritirato per il guasto idraulico in Gran Bretagna il distacco avrebbe assunto forme abissali. 
Raikkonen fa secondo, ma resta la sensazione di una vittoria sfumata: il finlandese poteva restare in pista e tentare la carta della sosta in meno, ed invece monta le morbide per i 10 giri finali, senza però riuscire a tentare il sorpasso su Vettel. Va detto che al muretto Lotus non siedono propriamente degli strateghi, come rammenta Kimi 7 giorni fa in quel di Silverstone, mal guidato dal box che, non facendo il pit stop in regime di Safety Car, gli ha fatto perdere un meritato podio.
La Ferrari arriva 4a con Alonso, con una rassegnata gara d'attesa. Con l'aggravante della mossa strategica delle gomme dure in partenza, miseramente naufragata per i troppi giri in qualifica (4) con gli pneumatici bianchi, che non sono durati più di una dozzina di tornate.
Andare avanti a macumbe non basta. Funziona una volta, ma poi stop.
L'Ungheria arriva a fine mese, la Ferrari nelle ultime due gare è sprofondata in una crisi tecnica inaspettata. La pazienza sta finendo, anche la F2013 si sta spostando verso la categoria "Vetture sbagliate". Ci vorrebbe uno di quei bei recuperi clamorosi estivi della Ferrari di Schumi-Todt e Brawn. Solo che di test a disposizione qua ne abbiamo solo uno, a Silverstone, nel luogo del boom delle gomme, basterà per risorgere?

157Vettel, 123Alonso, 116Raikkonen, 99Hamilton, 93Webber.
250Red Bull, 183Mercedes, 180Ferrari, 157Lotus, 59ForceIndia.

lunedì 1 luglio 2013

CONFEDERATIONS CUP 2013: PAGELLE DECIMA GIORNATA

Immagine tratta da calcioblog.it
Si chiude con le due finali per terzo e primo posto questa Confederations Cup, anteprima dei Mondiali del prossimo anno. Diamo ancora una volta i voti ai nostri azzurri nella "finalina" contro l'Uruguay e ovviamente non dimentichiamo la sfida decisiva del torneo tra Spagna e Brasile.
ITALIA
Buffon: Non sembra esplosivo sulla punizione di Cavani, ma si riscatta prima con un gran intervento di piede su Forlan e poi neutralizzando tre rigori, alla faccia di chi diceva che non sapeva pararli. Voto 6,5.
Maggio: "Retrocesso" ancora una volta a terzino, torna a faticare. Sbaglia il disimpegno sul primo gol uruguaiano e non spinge quanto potrebbe sulle fasce nonostante un Forlan abulico. Voto 5,5.
Astori: Alla prima presenza in Confederations si toglie lo sfizio di buttare dentro il pallone del vantaggio. Gara attenta e solida del centrale del Cagliari, esce con i crampi nel supplementare. Voto 6.
Bonucci: Il rigore sbagliato contro la Spagna sembra pesare ancora su di lui. Entra a freddo ma non sembra concentrato, facendosi infilare da alcune pericolose verticalizzazioni avversarie. Voto 5,5.
Chiellini: Partita di grinta e sostanza, fa a sportellate dal primo all'ultimo minuto con Suarez, rischiando anche il rigore. Sbaglia anche sul primo gol di Cavani non facendo il fuorigioco. Voto 6.
De Sciglio: Peccato per il rigore sbagliato, perché il ragazzino gioca una partita ordinata e di ottima personalità. Spinge molto sulla sua fascia dal primo all'ultimo minuto, come un veterano. Voto 6,5.
De Rossi: Dimentica problemi fisici e stanchezza, lotta e corre in mezzo al campo finché le forze lo sostengono. Esce stremato, ma altra prestazione positiva dopo quella contro la Spagna. Voto 6,5.
Aquilani: Entra e cerca di aiutare Montolivo nel gestire la palla, oltre a sacrificarsi molto in fase difensivo. Rischia un po' trattenendo Godin in area, segna bene il primo rigore della serie. Voto 6.
Montolivo (il peggiore): Responsabilizzato ancora dall'assenza di Pirlo, continua a non convincere del tutto. Non da il giusto cambio di passo a centrocampo, mentre sull'espulsione ha responsabilità relative. Voto 5,5.
Candreva: Più indietro rispetto alle altre gare e poi centrale d'emergenza nei supplementari, gioca ancora una buona partita. Lascia meno il segno in attacco, anche se quando accelera si fa sentire. Voto 6,5.
Diamanti (il migliore): Il suo sinistro è una vera disgrazia per l'Uruguay. Propizia il gol del vantaggio con un a punizione velenosa, segna nel secondo tempo con una pennellata nell'angolo. Forse meritava più spazio. Voto 7.
Giaccherini: Entra anche se non sembra al massimo, cerca di dare una mano ai compagni stanchi e chiude la sua ottima Confederations segnando bene il rigore. Voto 6.
El Shaarawy: Schierato dopo tante voci e dubbi, parte piano e commette qualche imprecisione, poi cresce e riesce a lasciare il segno risultando il più pericoloso nel finale di gara. Segna con freddezza il suo rigore. Voto 6.
Gilardino: Cerca di fare gioco di sponda e di aprire varchi per l'inserimento dei compagni, guadagnando punizioni con esperienza. A parte questo, non è mai pericoloso e gli avversari lo tengono con facilità. Voto 5,5.
Prandelli: Torna al modulo precedente, combatte con assenze e stanchezza e ottiene un bel terzo posto. Concede spazio ad alcune riserve ottenendo risposte più positive che negative, forse poteva dare una chance anche a Cerci e al secondo portiere. Confederations istruttiva per i prossimi Mondiali. Voto 6,5.
URUGUAY
Tattica: Rispetto alla sfida contro il Brasile, Tabarez cambia un solo uomo e mantiene modulo e idea di gioco: squadra corta e solida in difesa, pronta a ripartire in contropiede. Tradito da Suarez e soprattutto Forlan, forse l'Uruguay poteva approfittare di più della stanchezza degli azzurri e dell'uomo in più nel finale.
Il migliore: Aveva iniziato il torneo in sordina, lo finisce alla grande con una doppietta. Cavani torna Matador e si migliora ancora rispetto alla sfida con il Brasile segnando due volte, più una terza annullata per giusto fuorigioco. Perderlo potrebbe essere un vero peccato per il nostro campionato. Voto 7,5.
Il peggiore: Doveva riscattarsi dopo la brutta prestazione contro il Brasile, invece Forlan conferma di non essere lo stesso di qualche anno fa. Corre molto ma si rende pericoloso solo una volta in tutta la partita, inoltre sbaglia nuovamente un rigore come nella sfida precedente. In decisa involuzione. Voto 5.
Curiosità: L'Italia riesce a sfatare un tabù e vince per la prima volta una sfida ai rigori contro una squadra sudamericana. I due precedenti sono purtroppo sconfitte molto dolorose: la prima nella Semifinale del Mondiale 1990 contro l'Argentina, la seconda nella Finale del Mondiale 1994 contro il Brasile.
BRASILE
Tattica: Scolari conferma ancora una volta gli 11 a cui ha sempre dato fiducia e vince la partita fin da subito,  pressando in modo feroce la Spagna e dando sempre grande velocità alla manovra. Cosa fondamentale, il Brasile sblocca subito la gara, cosa non riuscita all'Italia, controllando di fatto il match dall'inizio alla fine.
Il migliore: La Confederations doveva essere il suo trampolino di lancio tra i grandi, e così è stato. Fred segna due gol ma Neymar è il protagonista della gara e di gran lunga il miglior giocatore del torneo. Un gol fantastico e tanta classe, con giocate da vero fenomeno. Se solo si tuffasse un po' di meno...Voto 7,5.
Il peggiore: Non è semplice trovare una nota negativa in una prestazione quasi perfetta come quella del Brasile. Si può forse fare un appunto a Marcelo, che spinge e gioca bene sulla fascia, ma a volte sembra troppo nervoso e poi regala alla Spagna il rigore che potrebbe riaprire la sfida con eccessiva ingenuità. Voto 5,5.
SPAGNA
Tattica: Nonostante i 120 minuti giocati contro l'Italia e qualche giocatore poco convincente, Del Bosque cambia solo Villa con Mata e prova a giocarsela. I suoi sono stanchi, in più il gol subito a freddo e l'atmosfera avversa del Maracanà fanno il resto. Questa volta ha vinto il Brasile, tra un anno nel Mondiale si vedrà.
Il migliore: Nella disfatta spagnola spicca per l'ennesima volta la prestazione di Iniesta, uno dei pochissimi a salvarsi tra i suoi. Nel primo tempo cerca di dare una scossa ai compagni e a riportarli in carreggiata, poi si adegua al grigiore dei compagni e sparisce di fatto dal campo come tutta la Spagna. Voto 6.
Il peggiore: La difesa iberica è stata un vero e proprio colabrodo, e c'è l'imbarazzo della scelta nello scegliere il peggiore. Diciamo che l'espulsione fa pendere l'ago della bilancia verso Piqué, già fuori posizione sul primo gol di Fred e costantemente in difficoltà contro i veloci e aggressivi attaccanti brasiliani. Voto 4.
Curiosità: Per la prima volta dalla creazione di questo trofeo, una squadra europea viene sconfitta in finale. Nei precedenti, tre vittorie su tre con la Danimarca nel 1995 e la Francia nel 2001 e 2003. Proprio la Francia è stata anche l'ultima squadra a trionfare in casa prima del Brasile (1-0 al Camerun nel 2003).