martedì 31 luglio 2012

PUNTO OLIMPICO N. 4

Immagine tratta da fullwist.net
Eccoci al nostro ormai consueto appuntamento con i Giochi Olimpici di Londra 2012. Vediamo chi sono stati i migliori e i peggiori di questa quarta, amara giornata di gare.
I MIGLIORI
Nasser Al-Attiyah (tiro a volo): Merita una citazione questo atleta polivalente che viene dal lontano Qatar. Giunto alla sua quinta Olimpiade, e dopo aver avuto anche l'onore di essere portabandiera a Pechino 2008, si toglie la soddisfazione di vincere finalmente una medaglia con il bronzo nello Skeet. Non sembra un cecchino se si giudica il modo in cui trema la sua carabina durante ogni tiro, ma le apparenze possono ingannare, e infatti il qatariota si dimostra freddo a sufficienza nello spareggio contro il russo Shomin, centrando tutti i piattelli e ottenendo il gradino più basso del podio. La sua carriera però non si ferma al tiro a volo: l'altra sua grande passione sono i rally, e anche lì i risultati importanti non sono mancati, visto il successo al Rally Dakar appena un anno fa. Quello che si dice essere polivalenti...
Alaaeldin Abdouelkassem (scherma): Alzi la mano chi, all'inizio degli incontri di oggi, avrebbe puntato un centesimo su questo giovanissimo fiorettista egiziano come protagonista del torneo. Una scalata a dir poco improbabile, una serie di vittorie del tutto non pronosticate e non pronosticabili, compresa quella sul nostro Andrea Cassarà ai quarti, fino a sfiorare il sogno nella finale, persa con onore contro il cinese Lei. Forse è un po' grezzo come stile, e non ha proprio il fisico del grande schermidore, ma alla fine il risultato è quello che conta e per questo ragazzo oggi ci sono solo applausi. Primo africano a disputare una finale olimpica nella scherma, in Egitto probabilmente è già diventato un eroe nazionale dopo questo argento. Insomma, una di quelle storie incredibili, belle, quasi impossibili, che solo un grande evento come le Olimpiadi possono regalare.
Ye Shiwen (nuoto): Parlando di giovani promesse e baby sorprese del nuoto, non si può non citare questa ragazzina cinese, che ad appena sedici anni ha stupito il Mondo. Pochi giorni fa, ha lasciato tutti a bocca aperta imponendosi nei 400 metri misti con un tempo stratosferico, che ha cancellato il precedente record del Mondo in quella distanza. Oggi si è confermata, vincendo l'oro nei 200 misti con un'altra grande prestazione e diventando di fatto uno dei personaggi di questa Olimpiade. Su di lei si sono sprecati fiumi e fiumi d'inchiostro, soprattutto dopo che gli americani hanno sollevato alcuni dubbi sui suoi tempi a dir poco esagerati e hanno ipotizzato il ricorso addirittura al doping genetico. La Ye non si è lasciata distrarre da tutte queste voci, ha mantenuto la lucidità necessaria e in vasca ha zittito tutti i critici, dimostrando che il carattere non le manca di certo.
Michael Phelps (nuoto): Vista l'età media dei suoi rivali più agguerriti in vasca, con i suoi 27 anni bisognerebbe quasi considerarlo un veterano del nuoto. Autentico cannibale e uomo-copertina quattro anni fa a Pechino con le sue 8 medaglie d'oro, in queste Olimpiadi non stava facendo grandi cose: sconfitto da Lochte e fuori dal podio nei 200 stile, secondo nella staffetta 4x100 stile dietro la Francia, oggi battuto in volata dal sudafricano Le Clos nei 200 farfalla. Poi, nell'ultima gara di giornata, è arrivato il guizzo del campione, che gli è valso l'oro nella staffetta 4x200 stile e un posto d'onore nella storia. Con questa vittoria diventa l'atleta con il maggior numero di medaglie olimpiche nella storia: 19, di cui ben 15 d'oro. Un record straordinario, che cancella in parte le delusioni degli ultimi tempi e lo consacra come uno dei più grandi nuotatori di sempre. Ed è anche un messaggio per i suoi giovani rivali: il re non vuole abdicare, almeno non così facilmente.
I PEGGIORI
Filippo Magnini (nuoto): Due giorni fa la sfuriata contro i compagni di squadra dopo la qualificazione alla finale di staffetta conquistata all'ultimo respiro, oggi le critiche e le polemiche per una prestazione che non fa felice nessuno, lui in primis. Re Magno non è più lui, dopo la vittoria agli Europei che aveva illuso tutti è arrivato un desolante diciannovesimo posto nelle batterie dei 100 stile, in quella che è sempre stata la sua gara. I 30 anni compiuti possono incidere di certo nelle prestazioni del pesarese, che si confronta con avversari sempre più giovani e affamati di successi, ma dal capitano della squadra di nuoto azzurro ci si aspetta sempre di più. Soprattutto, non sono piaciute le accuse contro tutto e tutti per la preparazione atletica, che forse è stata sbagliata. I panni sporchi bisognerebbe sempre lavarli in famiglia, e un atleta così esperto dovrebbe saperlo bene.
Squadra russa (ginnastica artistica): Sia chiaro, vincere la medaglia d'oro contro la temibile e fortissima formazione statunitense era un'impresa più che difficile per chiunque, e in queste condizioni si può parlare a ragione di un argento vinto. Bisogna anche dire, però, che le giovani atlete russe sono state in gara per tutta la competizione, rispondendo colpo su colpo alle prestazioni delle americane e dando anche l'impressione di poter fare il miracolo. Tutto vanificato nell'ultimo esercizio, il corpo libero, quando prima la Grishina e poi la Afanaseva hanno commesso degli errori che, seppur poco penalizzati dalla giuria, hanno cancellato i sogni d'oro delle russe. Il loro pianto, al momento del verdetto finale, la dice lunga su quanto la vittoria fosse, come mai prima d'ora, alla loro portata.
Fioretto maschile (scherma): Per un po' abbiamo sperato che i nostri portacolori potessero eguagliare la tripletta delle loro colleghe. Sogno svanito troppo presto, che anzi si è tramutato in un incubo con il passare delle ore. Prima l'eliminazione di Valerio Aspromonte e di Andrea Cassarà, rispettivamente numeri 2 e 1 al Mondo nella specialità, nei quarti, poi la doppia sconfitta di Andrea Baldini, che ha perso sia la semifinale sia la finale per il bronzo. Una grande delusione per la scherma azzurra, che sperava di rimpinguare il suo medagliere e invece si ritrova con un pugno di mosche in mano. La stanchezza per i match ravvicinati ha inciso di certo, ma non si può imputare a questo la sconfitta dei nostri contro avversari che apparivano decisamente alla portata. Speriamo che la prova a squadre rimetta a posto le cose.
Federica Pellegrini (nuoto): Spiace inserire per la seconda volta quella che è la nostra indiscussa regina del nuoto tra i peggiori di giornata. Ci aspettavamo una reazione d'orgoglio e di grinta dopo i 400 stile conclusi al quinto posto, sognavamo una vittoria in quella che è da sempre la sua gara, i 200 stile. Forse ci siamo illusi, abbiamo dimenticato che nello sport niente si ottiene per caso, che il talento non basta quando la forma fisica e la testa non girano a dovere. Per Federica è arrivato un altro amarissimo quinto posto, e questo fa male davvero, perché ci toglie una grossa speranza di vittoria e ridimensiona un po' le nostre pretese di essere una grande potenza del nuoto. La scarsa forma mostrata da quasi tutti gli atleti in vasca può essere un alibi, ma certo non ci si può attaccare solo a questo, e anche gli attacchi alla vita privata della Pellegrini e del suo fidanzato Magnini sono solo chiacchiere inutili. Ora forse si prenderà un anno di pausa, speriamo che serva per farla tornare la campionessa che conosciamo.

lunedì 30 luglio 2012

PUNTO OLIMPICO N. 3

Immagine tratta da ecodellosport.it
Eccoci ai nostri giudizi sui migliore e i peggiori di questa terza, emozionante giornata di gare ai giochi olimpici di Londra 2012.
I MIGLIORI
Niccolò Campriani (tiro a segno): In una giornata che ha regalato più amarezze che soddisfazioni alla spedizione azzurra, è lui che fa sorridere per l'ottava volta i nostri colori. Nella carabina 10 metri partiva con i favori del pronostico in virtù del titolo Europeo conquistato nel 2009 e di quello Mondiale conquistato nel 2010, ma confermarsi in un'Olimpiade a neanche 25 anni non era facile. Ha disputato una finale solida, ha gestito i momenti di difficoltà che gli hanno impedito di ottenere l'oro, e si è preso un meritatissimo argento che lo ripaga di tutti gli sforzi e i sacrifici fatti in questi anni. Ora sogna un'impresa forse più difficile: trovare lavoro in Italia. Gli facciamo il nostro in bocca al lupo.
Yannick Agnel (nuoto): Nella gara regina di oggi per il nuoto maschile, i 200 stile libero, il francese ha mostrato una superiorità davvero indiscutibile, conquistando vittoria e oro. Ieri aveva già compiuto una grande impresa, nella staffetta 4x100 stile, con una rimonta incredibile nell'ultima frazione che era valsa l'oro a lui e ai suoi compagni. Oggi si è confermato come uno dei campioni presenti e futuri del nuoto mondiale,  cancellando di fatto avversari agguerriti come Park, Lochte, Biedermann e Sun, tutti più esperti e più titolati di lui; il tutto ad appena 20 anni, e alla prima partecipazione in un torneo a cinque cerchi. E' sicuramente uno dei prospetti più interessanti di quella nidiata di giovani nuotatori che sta impressionando gli esperti in queste Olimpiadi.
Ruta Meilutyte (nuoto): Se cercavate la favola di questi Giochi Olimpici, eccovi accontentati. In soli due giorni, la ragazzina che sembrava essere arrivata a Londra più come turista che come atleta si aggiudica la medaglia d'oro nei 100 farfalla, battendo rivali quotate come la Soni e la Efimova e lasciando tutto il Mondo a bocca aperta. A soli quindici anni questa ragazza lituana entra di diritto nella storia, regalando al suo Paese la prima medaglia olimpica nel nuoto dall'indipendenza ottenuta nel 1990, ma entra soprattutto nei cuori degli appassionati, che si sono metaforicamente stretti a lei al termine di questa splendida impresa. Le sue lacrime di gioia sul podio rimarranno una delle fotografie più belle di queste Olimpiadi 2012.
Shin A-Lam (scherma): Per una volta, tra le nostre citazioni non c'è un'atleta che si è aggiudicata una medaglia, anche se francamente l'avrebbe meritato davvero. Quello che è accaduto alla spadista coreana ha dell'incredibile: battuta a un secondo dalla fine da una stoccata arrivata con il cronometro fermo, dopo che l'assalto era stato ripetuto già due volte per problemi tecnici. Una beffa atroce per la Shin, che senza questo colpo contestatissimo avrebbe combattuto per la medaglia d'oro e invece si è dovuta accontentare della sfida per il bronzo, poi persa. Il ricorso dei coreani è già pronto, e la protesta della giovane atleta, che è rimasta a piangere in pedana per molti minuti dopo la fine dell'incontro, non verrà dimenticata facilmente. A livello morale, lei è una delle nostre vincitrici di oggi.
I PEGGIORI
Giulia Quintavalle (judo): Una delle nostre speranze di medaglia, già campionessa a Pechino 2008, conclude in modo amaro il suo torneo senza mai piazzare un acuto. Vero che la condizione fisica era un po' precaria per via di un recente infortunio al ginocchio, e che nei quarti si è trovata ad affrontare un'avversaria durissima come la giapponese Matsumoto, già campionessa mondiale nel 2010 e oro alla fine quest'oggi. Ma almeno il bronzo era abbondantemente a portata di mano della livornese, che invece si è arresa con eccessiva facilità all'americana Malloy, un'avversaria dura ma assolutamente battibile per l'azzurra. E' mancata sicuramente la cattiveria dei bei tempi per la Quintavalle, che non è sembrata agile e determinata come quattro anni fa, quando conquistò a sorpresa il gradino più alto del podio olimpico. Speriamo che in futuro abbia un'occasione per riprovarci.
Thomas Daley-Peter Waterfield (tuffi): Il baby fenomeno che gioca in casa e che aveva promesso a tutti i suoi compatrioti una vittoria ha tradito le aspettative. E' vero che ha solo 18 anni e solo un anno fa ha perso il padre, ma Daley è uno dei prospetti più interessanti tra i tuffatori di tutto il Mondo, e da lui ci si aspetta sempre il massimo. Invece, lui e il suo compagno di squadra Waterfield si sono fatti prendere dall'emozione, dopo un inizio di gara degno dei rivali cinesi, americani e messicani: prima Peter ha sbagliato nel quarto tuffo, poi Tom non è stato perfetto nel quinto, e così il sogno di una medaglia è svanito. Una piccola delusione per il pubblico britannico, che ancora sta cercando il suo personaggio per questi giochi casalinghi, ma il ragazzino ha ancora le carte in regola per diventare l'eroe che tutti aspettano.
Setterosa (pallanuoto): La squadra vincente di 8 anni fa non c'è più, lo sappiamo, il ricambio generazionale è in corso e le speranze di un successo finale non sono più quelle del passato. Tutto giusto, ma la squadra che è scesa in vasca oggi per l'esordio in queste Olimpiadi ha deluso soprattutto per l'atteggiamento mostrato, per la scarsa capacità di lottare e di competere contro le agguerrite ed esperte australiane, che hanno di fatto controllato la partita dall'inizio alla fine. L'Italia ha fatto in sostanza il gioco delle sue avversarie, affidandosi troppo alle conclusioni dalla lunga distanza e non riuscendo mai a mettere la testa avanti durante la partita. Una brutta prestazione, c'è poco da dire, e adesso per il Setterosa è d'obbligo una reazione, perché se la qualificazione ai Quarti non sembra in bilico, il miglior piazzamento in classifica potrebbe essere decisivo per il prosieguo della competizione.
Il cronometro (scherma): Sarebbe ingiusto prenderselo con la Heidemann per quanto accaduto durante le semifinali del torneo di spada femminile, anche se il modo di combattere dei tedeschi ha fatto storcere il naso a molti e in finale parte del pubblico tifava contro di lei. Sembra invece doveroso contestare l'uso di un cronometro che prevede solo il conteggio dei secondi, senza utilizzare i decimi, che in una situazione come quella che si è verificata oggi sarebbero stati preziosissimi. Costringere due atlete a ripetere per tre volte l'assalto decisivo perché non si riesce a capire se il tempo è finito o no, nel 2012, fa sorridere tristemente. In un secondo queste ragazze si giocavano il lavoro di 4 anni e un'occasione che si presenta pochissime volte nella vita, decidere la loro sorte in questo modo è a dir poco crudele e ingiusto. Occorrono provvedimenti, per evitare che uno "spettacolo" del genere possa ripetersi ancora.

HUNGAROPAGELLE MEZZE PIENE

Immagine tratta da f1granprix.motorionline.com e modificata su cartoonize.net
Lewis Hamilton (10) sfrutta a dovere la partenza al palo e conquista la sua 19esima vittoria in carriera, terza sul circuito dell' Hungaroring (3). L' inglese comincia la sua rimonta nel Mondiale e si porta a -47 da Alonso. Mc Laren (8,5) sempre consistente, Hamilton non sbaglia niente e la vittoria è servita. Meno bene va a Button (4,5), vittima di una delle sue gare anonime che arriva a 30 secondi dal battistrada. 
Fa festa la Lotus (9), che piazza i suoi due alfieri sul podio. C'è sempre l' amaro in bocca per le vetture nero-dorate, sembra sempre che i podi siano occasioni perse più che il massimo risultato possibile. Raikkonen (9,5), partito 6°, dà il meglio di sè ed arriva nei tubi di scarico del vincitore, nonostante in alcuni tratti di gara avesse una decina di secondi di ritardo. Il finnico regola in un incontro ravvicinato all' uscita dal pit il compagno di box Grosjean (5,5), manovra decisa che intimidisce il francesino. Sì, ok che è sul podio 3°, ma al pupillo Lotus manca sempre quel guizzo in più che fa la differenza, e i 40 punti meno di Kimi parlano chiaro.
Red Bull (5) un pò in crisi, passiva, organizza tattiche da tutto per tutto, ma non raggranella nulla. Vettel (6) chiude quarto, Webber (4) addirittura ottavo, in una gara che poteva segnare la rimonta sulla Ferrari (5), ma che alla fine arriva a favorire proprio i rossi di Maranello.
Bicchiere mezzo pieno per Fernando Alonso (6), nel giorno del suo 31esimo compleanno, che arriva quinto e ottiene il massimo da una vettura mediocre, 30 secondi di ritardo da Hamilton.
Se i valori son questi sarà dura difendere i 40 punti di vantaggio su Webber, ma il fatto di aver guadagnato 6 punti sull' immediato inseguitore fa vedere comunque il bicchiere mezzo pieno.
Notte fonda per Massa (4), nono e impalpabile, su una delle piste in cui è stato più consistente.
Nota di merito per la gara di Bruno Senna (8), settimo, che riesce a mettersi alle spalle Webber, Massa e Rosberg (6) su Mercedes (4). Dimostra continuità e non fa errori per tutto il weekend.
Maldonado (6) chiude 13°, penalizzato per l' unico sorpasso vero visto in pista, forse eccessivamente.
Force India (6) discreta con Hulkenberg 11° e Di Resta 12° (6 per entrambi).
Sauber (4) naufragata dopo l' ottima gara tedesca, Perez 14° (5), Kobayashi 18° (4,5) dopo un via pessimo. Toro Rosso (5) in super crisi, Ricciardo (6) meglio di Vergne (6), 15° e 16°.
Le Cenerentole del Mondiale restano tali, con un applauso per la Caterham che per un pò riesce a rimanere in scia della Toro Rosso e Kovalainen chiude 17° e Petrov 19° (6,5 per tutti).
Bravo Pic (7), che regola Glock (5) in crisi di gomme e forse un pò demotivato. Le HRT (6) son più vicine alla Marussia (6), e De la Rosa (6) arriva ultimo, 22° ma con onore e Karthikeyan si ritira, ma non sfigura (6).
Capitolo a parte per Michael Schumacher (3). Incredibile: sbatte sul bagnato nelle libere per un aquaplaning, in qualifica è pessimo 17° e in gara nell' ordine sbaglia a schierarsi in casella di partenza, causando la ripetizione della procedura, non contento spegne il motore credendo che la ripartenza successiva non fosse immediata. Parte dai box e al primo giro fora, nell' arrivare al cambio gomme supera il limite di velocità in corsia, si becca un drive trough, naviga nella ultime posizioni e la squadra lo richiama perchè non arrivavano dati dalla telemetria della sua vettura. Totalmente in confusione come un novellino inesperto. Sembrava un debuttante senza licenza, piuttosto che un 7 volte Campione del Mondo con quasi 300 Gp alle spalle.
Hungaro-sberla per lui!
E anche per chi ha messo Placido Domingo (4) a intervistare i piloti arrivati a podio. Come far intervistare Obama (7) da Davide Mengacci (9). Bah.

PUNTO OLIMPICO N. 2

Immagine tratta da news.sportduepuntozero.it
Ecco i nostri giudizi sui migliori e i peggiori della seconda giornata di gare a Londra 2012.
I MIGLIORI
Kimberly Rhode (tiro a volo): La precisione di un cecchino, unita alla freddezza di un robot. La statunitense ha disputato una gara semplicemente perfetta, diventando presto irraggiungibile per tutte le sue rivale. Centrando ben 99 piattelli su 100, la Rhode ha eguagliato il primato del Mondo e stabilito il nuovo record olimpico nella disciplina, conquistando la quinta medaglia in altrettante partecipazioni alla manifestazione a cinque cerchi. Al successo di oggi vanno aggiunti l'argento di quattro anni fa a Pechino, quando fu battuta dalla nostra Chiara Cainero, e i due ori e il bronzo conquistati dal 1996 al 2004 nel Double Trap. Che dire, una vera campionessa.
Marianne Vos (ciclismo): E' considerata da molti come la migliore a livello femminile da tanti anni, eppure all'olandese era sempre mancato qualcosa per confermare la sua forza. Dopo un oro ai Mondiali di ciclismo del 2006, infatti, aveva ottenuto ben 5 secondi posti consecutivi, a dimostrazione che le mancava sempre qualcosa nel momento decisivo. A Pechino, quattro anni fa, era arrivata un'altra delusione cocente, quando si era lasciata anticipare da un gruppo di avversarie in fuga, arrivando solo sesta. Oggi non ha sbagliato, nel diluvio ha scelto il momento giusto per piazzare l'attacco vincente, e in volata non ha dato scampo alle rivali. Un successo meritato per un'atleta che può fare ancora tanto per questo sport.
Rosalba Forciniti (judo): Da autentica carneade alla gloria di una medaglia olimpica. La giovane calabrese è la prima azzurra a conquistare il podio oggi, ottenendo uno storico bronzo nella categoria 52 Kg del Judo e diventando la prima donna di questa regione a vincere una medaglia olimpica. Un successo molto sofferto, ottenuto al termine di un incontro estenuante ed estremamente equilibrato contro la lussemburghese Muller, finito in parità e deciso dal parere dei giudici. Al loro verdetto è seguita l'esplosione di gioia di Rosalba, della famiglia e di tutta la Calabria, che ora aspetta la sua eroina per tributarle i giusti onori.
Diego Occhiuzzi (scherma): Nella sua carriera di schermidore, l'atleta napoletano aveva già vinto una medaglia alle Olimpiadi (bronzo a Pechino 2008) e in altre competizioni importanti, ma sempre nella gara a squadre, mai nel singolo. Oggi invece l'azzurro ha tirato fuori tutta la sua classe e la sua grinta, ha prevalso nel derby con l'amico Montano ed è arrivato a sfiorare il cielo con un dito, conquistandosi con pieno merito la finale della sciabola. Contro l'ungherese Szilagyi, purtroppo, c'è stato poco da fare, ma il suo argento vale di per sé come una vittoria per la tenacia e il coraggio con cui è stato ottenuto. E' il giusto riconoscimento per un atleta forse poco appariscente, ma sempre efficace.
I PEGGIORI
Giorgia Bronzini (ciclismo): Se ieri nella gara maschile le speranze di medaglia erano poche, oggi ci si aspettava molto di più dalle ragazze, e soprattutto dalla Bronzini, bicampionessa mondiale in carica. L'azzurra ha perso il treno giusto, non ha seguito la Vos e le sue compagne di fuga quando doveva, e così ha perso l'occasione per vincere, o quanto meno per salire sul podio. Prestazione negativa dunque per lei e per le sue compagne, Noemi Cantele, Tatiana Guderzo e Monia Baccaille, che non sono state attente a marcare la campionessa olandese, che tutti indicavano come l'avversaria più pericolosa per la medaglia d'oro. Dopo il bronzo di quattro anni fa con la Guderzo, insomma, una brutta bocciatura per il ciclismo femminile.
Tania Cagnotto (tuffi): Un'inezia, una piccolezza, due miseri punti hanno privato lei e la Dellapé di una meritatissima medaglia, d'argento o di bronzo. Si può recriminare per alcune decisioni della giuria, che forse ha aiutato la coppia canadese (alla fine terza) e penalizzato con durezza eccessiva le italiane, ma purtroppo l'errore della Cagnotto nel quarto tuffo è stato evidente e ha condizionato la gara. Era reduce da un piccolo infortunio, lo sappiamo, ma più che punirla per quanto fatto in gara la mettiamo tra i cattivi per le frasi dette subito dopo la gara. Poteva prendersi le sue responsabilità, visto che l'errore appare soprattutto suo, invece ha diviso le colpe al 50% con la Dellapé. Solo che lei avrà un'altra chance per conquistare una medaglia in queste Olimpiadi, la sua compagna probabilmente no...
Spagna Olimpica (calcio): Dopo il titolo di categoria conquistato solo un anno fa, e con la nidiata di giovani campioni che aveva a disposizione, la squadra iberica sembrava destinata a fare una gran figura in questo torneo olimpico. Invece, dopo le prime due partite del girone, è arrivata una clamorosa eliminazione, per mano tra l'altro del Giappone e dell'Honduras, non proprio dei mostri in questa disciplina. Due sconfitte per 1-0 contro asiatici e centroamericani, ma soprattutto poco gioco e nemmeno un gol realizzato, nonostante la rosa fosse di tutto rispetto. Dopo il trionfo negli Europei e nei Mondiali, l'oro sarebbe stato il coronamento di un vero e proprio dominio per il calcio spagnolo, che invece torna a casa in anticipo. Alla faccia di chi diceva che i loro giovani erano molto più forti dei nostri...
Federica Pellegrini (nuoto): Chiariamolo subito, i 400 stile libero non sono mai stati la sua gara, anche se negli ultimi anni aveva vinto due volte l'oro ai Mondiali, facendo segnare anche il record del Mondo. Oggi Federica ha dimostrato per l'ennesima volta di non amare questa distanza, confermando in sostanza il quinto posto di Pechino e lasciando tanti appassionati azzurri con l'amaro in bocca per quella che sembrava una medaglia quasi scontata. Peccato davvero, ma del resto le sue prestazioni quest'anno non erano le stesse degli anni passati, e le avversarie oggi sono state semplicemente più forti di lei. Adesso ci sono i 200 stile, la sua distanza, in cui a Pechino conquistò l'oro subito dopo la delusione dei 400; speriamo che la storia possa ripetersi...

sabato 28 luglio 2012

PUNTO OLIMPICO N.1

Immagine tratta da daily.wired.it
Inauguriamo oggi una nuova rubrica, in cui cercheremo di soffermarci su ogni singola giornata di questi appassionanti Giochi Olimpici. In ogni episodio, designeremo i migliori e i peggiori tra gli atleti che sono scesi in campo durante la giornata di gare, con una particolare attenzione ovviamente per i nostri portacolori azzurri.
I MIGLIORI
Aleksandr Vinokourov (ciclismo): Nella cultura contadina è risaputo che il vino migliora sempre con il passare degli anni. Questo pomeriggio, "Vino" (così è il soprannome del ciclista kazako) ha stupito il Mondo, piazzando il colpo vincente e prendendosi un oro che sa di impresa. Atleta di quasi 39 anni, con alle spalle una squalifica per doping e un 2011 di inattività per un serio infortunio, ormai prossimo alla pensione si è preso la soddisfazione forse più grande della carriera, regalando ad un'intera nazione una vittoria inattesa, e per questo ancora più bella. Il giusto premio per la sua carriera.
Mauro Nespoli (tiro con l'arco): A Pechino, all'ultima freccia della finale di tiro con l'arco, l'atleta azzurro steccò il colpo e, con un 7/10, costrinse la spedizione italiana ad accontentarsi dell'argento. Oggi, quattro anni dopo, il nostro arciere si è preso una bella rivincita, dimostrando un gran sangue freddo nonostante la giovane età, con un percorso regolare e dei centri fondamentali nei momenti decisivi del match. L'oro è meritatamente suo, oltre che dei compagni di avventura Marco Galiazzo, già oro individuale ad Atene 2004, e Michele Frangilli, autore del centro che ha deciso la sfida. Le frecce tricolore ora hanno un volto.
Ryan Lochte (nuoto): Dopo tanti anni da seconda punta nella formazione di nuoto statunitense, con la pesante ombra del campionissimo Phelps ad oscurarlo, oggi Ryan si è preso finalmente la sua rivincita. Una prestazione fantastica nei 400 misti, in una finale mai in discussione e vinta con un tempo fantastico, inarrivabile per chiunque, persino per il grande rivale Phelps. Il giusto premio per una supremazia che dura da quasi due anni, e per un ragazzo sempre molto solare e spontaneo, lontano dallo stereotipo del campione schivo e lontano dalla gente comune. Il primo round olimpico è suo, attendiamo le prossime sfide.
Elisa Di Francisca (scherma): Per la quarta olimpiade consecutiva, la medaglia d'oro del fioretto femminile rimane a Jesi, ma stavolta dal collo della Vezzali passa a quello della Di Francisca. Una vittoria meritata per la schermitrice azzurra, più volte a rischio eliminazione durante tutta la giornata, ma brava a recuperare agli ottavi contro la tedesca Golubytskyi, in semifinale contro la coreana Nam e in finale contro la connazionale e compagna di squadra Errigo. Bravissime con lei anche la Errigo e la Vezzali, seconda e terza sul podio tutto azzurro: hanno dimostrato per l'ennesima volta chi sono le uniche, vere specialiste del fioretto a livello mondiale.
I PEGGIORI
Mark Cavendish (ciclismo): Era il favorito numero 1 della corsa, giocava in casa e disponeva della squadra più forte in assoluto. Per di più, l'andamento della gara sembrava perfetto per la sua affermazione, con un gruppo che sembrava rassegnato alla volata e i vari Wiggins, Froome, Millar e Stannard sempre lì a scontarlo, come in una parata. L'eccessiva sicurezza però gli è stata fatale, si è rilassato troppo insieme ai suoi compagni, permettendo agli avversari di prendere il largo e cercando una rimonta ormai impossibile. Una delusione incredibile per Cannonball, ma è ancora molto giovane, e una seconda occasione non mancherà in futuro.
Fabian Cancellara (ciclismo): Se alle sue doti atletiche, a dir poco mostruose, unisse una maggiore lucidità nel gestire le fasi decisive di una corsa, lo svizzero sarebbe un ciclista pressoché perfetto. Lui e i suoi compagni avevano costruito un'ottima strategia, inserendosi nella fuga giusta e prendendo un margine importante sugli altri pretendenti al successo. Tutto era pronto per un attacco della Locomotiva Umana, invece lui ha commesso un errore a dir poco banale, scivolando da principiante in una curva mentre si trovava, senza un valido motivo, in testa al gruppo. Occasione sprecata, l'ennesima, con il rischio di saltare anche la cronometro per i postumi della caduta; davvero una beffa di proporzioni olimpiche...
Michael Phelps (nuoto): A Pechino si era conquistato, meritatamente, le copertine di tutti i quotidiani del Mondo per lo strepitoso record di 8 medaglie d'oro vinte, un primato strepitoso che lo ha consegnato alla leggenda. Da allora non è più stato lo stesso, si sapeva, ma nessuno si sarebbe aspettato di trovarlo addirittura fuori dal podio dei 400 misti. Una qualificazione strappata davvero di un soffio, una finale anonima conclusa al quarto posto, e soprattutto una manifesta inferiorità nel confronto con Lochte, che ultimamente gliele sta suonando di santa ragione. Dopo l'Olimpiade ha annunciato che si ritirerà, la speranza è che lo faccia con qualche altra medaglia prestigiosa al collo.
Nam Hyun-Hee (scherma): Essere a pochissimi secondi dalla finale olimpica prima, e dalla medaglia di bronzo poi, e perdere entrambe. La povera schermitrice sudcoreana sognerà a lungo questa giornata, e non sarà certo un ricordo piacevole per lei, perché è passata in un attimo dal trionfo al nulla. In vantaggio sia contro la Di Francisca che contro la Vezzali, ha subito la furiosa rimonta delle due iesine, facendosi raggiungere all'ultimo secondo in entrambe le sfide e cedendo poi nel tempo supplementare. Dopo l'argento di Pechino 2008, quando fu sconfitta in finale ancora dalla Vezzali, probabilmente la Nam si augurerà di non rivedere mai più un'italiana contro di lei in pedana.

HUNGARO-SBERLA E TIFONE NANDO

Immagine tratta da f1grandprix.motorionline.com e modificata su cartoonize.net
Dalle stelle alle stalle in sette giorni. Questo il verdetto dell' Hungaroring per il leader del Mondiale Fernando Alonso e la sua Ferrari. Un' Hungaro-sberla in piena regola.
Senza pioggia e in un tracciato tutto sommato corto, il distacco dalla vetta torna ad essere preoccupante. Costretti ad usare il treno di gomme più morbide sin dalla Q2, la Ferrari accusa un ritardo di nove decimi dal polemen Hamilton, in stato di grazia.
E, ancor più preoccupante, tale distacco era stato previsto dagli uomini del Cavallino e il 6° e 7° posto pare rispecchiare fedelmente la velocità della Rossa. 
Anzi, il buon Nando vede persino il bicchiere mezzo pieno, in quanto il più prossimo rivale nella graduatoria iridata, Mark Webber, si è qualificato persino peggio, fuori dalla Q3, 11° e completamente insoddisfatto dal bilanciamento della sua Red Bull.
In una pista tradizionalmente favorevole alle Mc Laren, la scuderia di Woking non delude, piazzando uno stratosferico Hamilton con 4 decimi di vantaggio su tutti, in pole, e Button al quarto posto, finalmente consistente.
Al fianco di Hamilton partirà la sorpresa di giornata, la Lotus di Romain Grosjean, noto casinista emotivo in partenza, che potrà contare su un ritmo gara, che è il cavallo di battaglia della scuderia di Enstone. Raikkonen partirà 5°, masticando amaro su qualifiche che avrebbero potuto proiettarlo sicuramente più in alto. Entrambe saranno una brutta gatta da pelare in gara. Vettel si classifica 3°, pronto a cogliere punti importanti in rimonta su Alonso, ma conscio di essere un gradino sotto alla Mc Laren.
Note di merito, ma sì, per Massa, finalmente attaccato ai tempi di Alonso, a meno di un decimo,, e per gli alfieri Williams, Maldonado ottavo e Senna nono, finalmente incisivo in qualifica. 
Totalmente disastrosa la Mercedes, alle prese con un passo del gambero in piena regola persino in qualifica, Rosberg fa solo 13°, mentre Schumacher pessimo 17°, deludente dopo il costante crescendo degli ultimi Gp.
Riassumendo, gli aggiornamenti radicali portati nelle ultime gare da Mc Laren e Lotus, le hanno piazzate davanti a tutti, a questo punto del Mondiale lo sviluppo della vettura sarà fondamentale. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, la Red Bull non è così lontana dalla Ferrari, ma la Mc Laren pare avere un altro passo, e così la Lotus diventerà una variabile impazzita senza l' assillo delle qualifiche sbagliate.
Per domani si preannuncia uno scroscio di pioggia mista a grandine per metà/fine gara, provocato da una danza della pioggia degli uomini in rosso, iniziata alle 15 di oggi e che terminerà solamente in prossimità dell' inizio gara. Tutti uniti, sì, per il tifone Nando.

Pagelline: 1°Hamilton 10; 2°Grosjean 9,5; 3°Vettel 6,5; 4°Button 6,5; 5°Raikkonen 6; 6°Alonso 6; 7°Massa 6,5; 8°Maldonado 6,5; 9°Senna 6,5; 10°Hulkenberg 6,5; 11°Webber 4; 12°Di Resta 6; 13°Rosberg 5,5; 14°Perez 6; 15°Kobayashi 6; 16°Vergne 6,5; 17°Schumacher 4=; 18°Ricciardo 5,5; 19°Kovalainen 6,5; 20°Petrov 5,5; 21°Pic 7; 22°Glock 5,5; 23°De la Rosa 6; 24°Karthikeyan 6.

giovedì 26 luglio 2012

PAGELLE DI MEZZA STAGIONE

Immagine tratta da derapate.it e modificata su cartoonize.net
Dopo Hockenheim la stagione di F1 del 2012 porta a compimento la sua decima corsa e con dieci corse ancora rimanenti siamo precisamente a metà stagione.
Tempo perfetto per le pagelline di mezza stagione allora, seguendo in ordine inverso la classifica iridata, tanto per creare la giusta suspence.
24°De la Rosa (0): miglior piazzamento un 17° a Valencia, ma a dispetto di questo e dei suoi 41 anni, sempre coriaceo, grintoso e migliore del compagno di box. Voto: 7.
23°Karthikeyan (0): penultimo posto frutto del 15° a Montecarlo, roba da raccontare ai nipotini. Nel complesso lento ma non lentissimo, non disastroso come da aspettativa. Voto: 6.
22°Pic (0): desta un' ottima impressione nel confronto col più esperto Glock. 15° a Melbourne e Valencia. Nonostante la Marussia, potrebbe avere un buon avvenire. Voto: 7.
21°Glock (0): 14° a Melbourne e Montecarlo, meriterebbe una scuderia di medio livello come la vecchia Toyota, ma di sbocchi non se ne vedono. Voto 6,5.
20°Petrov (0): non sfigura nel confronto con Kovalainen, contando che è in F1 come pilota pagante. 13° a Valencia e combattivo nonostante la Caterham. Voto: 6,5.
19°Kovalainen (0): un mistero il perchè guidi ancora per una scuderia di così basso profilo. Sarebbe un ottima seconda guida. 13° a Monaco e due volte in Q2. Voto: 7,5.
18°Ricciardo (2): entra in Toro Rosso come cocco della Red Bull, ma raramente si mette in mostra come grande promessa. Miglior piazzamento 9° a Melbourne. Voto: 5.
17°Vergne (4): 8° in Malesia, balbettii frequenti in prova e molte gare da invisibile. E' giovanissimo e non sfigura affatto contro Ricciardo, ma sembra acerbo. Voto: 5,5.
16°Senna (18): entra come nipote d'arte e pilota pagante in Williams. E il giudizio su di lui è contraddittorio. Pessimo in prova, più convincente in gara. 6° in Malesia. Voto 6=.
15°Hulkenberg (19): ex cocco di Willy Weber, nel limbo tra promessa mancata e pilota di medio valore. 5°a Valencia, negli ultimi Gp sempre più regolare. Voto: 6.
14°Massa (23): 4° a Silverstone. Stop. Assente in prova e in quasi tutte le gare, vuoi per musetti rotti, gomme k.o., macchina instabile, lupi, ufo, spread. Guida una Ferrari, come Alonso. Confronto impietoso: Voto: 3.
13°Di Resta (27): buon pilota, ma valutato più di quel che ha fatto sinora. 6° in Bahrein e molto regolare. Non entusiasma però. Voto: 6.
12°Schumacher (29): una pole, un giro veloce, 3° a Valencia. Molti ritiri senza colpa (4) e una cazzata (contro Senna a Barcelona). Miglior stagione dal rientro. Ottimo in prova, gambero causa Mercedes in gara. Voto: 8.
11°Maldonado (29): ecco Dott.Jekill e Mr.Hyde. 1°a Barcelona e autoscontro un pò ovunque. Irruenza a gogò e stupidaggini in serie, ma una vittoria sfavillante. Voto: 8 (per quel lampo).
10°Kobayashi (33): 4° ad Hockenheim, mai così in alto. Regolare, grintoso e bravo nei sorpassi. Un pò invisibile ai media. Sottovalutato. Voto: 7,5.
9°Perez (47): clamoroso 2°in Malesia, 3° in Canada, è tra le sorprese della stagione. A volte immaturo, ma di un talento e una velocità purissime. Ma per Maranello non basta ancora. Voto: 9.
8°Grosjean (61): altra sorpresa della stagione. 2°in Canada e 3°in Bahrein. Gli è mancato lo spunto vincente, ma troppi autoscontri gratuiti da panico in partenza. Voto: 6,5.
7°Button (68): vince a Melbourne, 2°in Turchia e ad Hockenheim, poi fa correre il gemello paracarro in crisi. Stagione indecifrabile. Le piglia sempre da Hamilton. Voto: 5.
6°Rosberg (76): dà pole e vittoria in Cina, le prime per Mercedes. Ma poi? Dà la sensazione di perdersi un pò, e sfigura contro Zio Schumi. Un pò nel pallone. Voto: 7.
5°Hamilton (92): vince in Canada, però nel complesso sembra un pò involuto nelle ultime stagioni. Meno folle e più giudizioso, ma il Mondiale è sempre lontano. Voto:5.
4°Raikkonen (98): nel complesso un rientro in grande stile. Competitivo, consistente, costante. Forse ha perso smalto nel giro secco. 2° a Valencia e in Bahrein. Voto: 8=.
3°Vettel (110): vince solo in Bahrein, ma fa tanti punti. Meno convincente del passato e dietro al compagno di box. Però è il rivale principale di Alonso. Attenzione. Voto: 6 (per ora).
2°Webber (120): fa pesare tutta la sua esperienza, nelle vittorie (Montecarlo e Silverstone) e nei piazzamenti. Formichina, ma il titolo non sarà affar suo. Voto: 9 (meglio non poteva fare).
1°Alonso (154): in fuga, fa bottino pieno in Malesia, a Valencia e Hockenheim. Ogni vittoria sa di impresa, come il primo Schumi. Stratosferico. Il miglior Alonso di sempre. Voto: 10 e lode (perchè al primo Gp si beccava 1 secondo e mezzo).

lunedì 23 luglio 2012

LE TOUR DE...SKY!

Immagine tratta da svelo.eu

Lo sport è spesso ritenuto, a ragione, un gioco di squadra, in cui il singolo campione riesce a fare davvero la differenza solo se intorno a sé ha un gruppo di compagni in grado di aiutarlo a emergere.
Il Tour de France di ieri ha dimostrato quanto sia vera questa "equazione", sancendo il trionfo non solo di Bradley Wiggins, primo britannico a vincere la corsa, ma di tutto il team Sky, che si è stretto intorno al suo uomo di punta e l'ha letteralmente guidato fino al successo. E' stato un vero e proprio dominio, una marcia reale dall'inizio alla fine della corsa, con gli avversari che si sono mostrati impotenti davanti all'organizzazione e alla forma straripante della squadra britannica. Approfittando della sua grande abilità nelle cronometro, Wiggins ha preso un buon margine di vantaggio su tutti i suoi avversari, gestendo bene le forze quando la strada ha incominciato a salire e potendo sempre contare sul supporto di Froome, che è ormai riduttivo definire un gregario. Alla fine, l'unico che è sembrato davvero in grado di impensierirlo è stato proprio il suo compagno di squadra e connazionale, che nella tappa pirenaica di Peyragudes si è preso anche la soddisfazione di staccarlo in salita, salvo poi aspettarlo per seguire gli ordini della squadra. Già campione mondiale e olimpico in più occasioni in passato, ieri Wiggins ha coronato una carriera di per sé ricca di soddisfazioni con quella che lui stesso ha definito la sua vittoria più grande, il successo al Tour, che da diritto al ciclista vincente ad entrare nella leggenda.
Detto di Wiggins e del suo compagno Froome, primo e secondo nella classifica generale, non si può dimenticare un altro grande protagonista del team Sky: lo sprinter Mark Cavendish, campione del Mondo in carica e re delle ultime volate al Tour. Il britannico è arrivato a questa corsa con una forma non proprio ottima, ha sofferto in salita e nelle cronometro, ma non si è mai arreso alle difficoltà, e anzi con il passare dei giorni è entrato sempre più in condizione, imponendosi nelle ultime due volate con uno strapotere a dir poco imbarazzante. Anche in questo caso, ai suoi meriti si aggiungono quelli di tutta la squadra, capace di guidarlo negli ultimi chilometri e di preparare alla perfezione il terreno per il suo sprint. Il successo finale a Parigi è lo specchio dell'efficienza del team Sky: Wiggins, in maglia gialla, ha tirato nell'ultimo chilometro la volata per Cavendish, mettendosi al suo servizio ed esultando quando il compagno ha tagliato per primo il traguardo. Le Olimpiadi sono sempre più vicine, e si disputeranno in Gran Bretagna, la patria di questi tre protagonisti del Tour e la sede della loro squadra. Gli ingredienti ci sono tutti, insomma, per assistere ad un nuovo dominio del team Sky e dei suoi campioni, anche se le corse di un giorno sono sempre imprevedibili e tutto può succedere.
Restando al Tour, bisogna dire che se la forza della squadra Sky ha segnato inevitabilmente la corsa, la mancanza di avversari davvero in grado di fare la differenza ha inciso molto sulla vittoria finale di Wiggins. Il campione in carica, Cadel Evans, ha deluso tremendamente le aspettative, non mostrandosi mai in grado di tenere le ruote del rivale e concludendo il Tour con un mesto settimo posto, a oltre 15 minuti dal vincitore; dopo gli ultimi anni ad alto livello, con i successi al Mondiale e nella corsa francese proprio un anno fa, ci si aspettava qualcosa di più dal campione australiano. Alla fine, l'unico a cercare davvero di opporsi al dominio di Wiggins e Froome è stato l'italiano Vincenzo Nibali, che nelle salite ha spesso attaccato il duo di testa, anche se non è mai riuscito a metterlo davvero in difficoltà. Alla fine della corsa, per lui è arrivato un meritatissimo terzo posto finale, primo italiano a riuscirci dal secondo posto di Ivan Basso nel 2005, e la soddisfazione di aver fatto capire a tutti che è pronto per le grandi corse a tappe; il siciliano ha mostrato coraggio e grinta, a 28 anni sembra arrivato nel pieno della sua maturità sportiva, e senza la sua proverbiale difficoltà nelle cronometro avrebbe potuto fare ancora meglio. Altri due grandi protagonisti del Tour sono stati due corridori molto diversi, il francese Voeckler e lo slovacco Sagan. Il primo, esperto e già protagonista in passato nella corsa di casa, ha portato a casa due successi e la maglia a pois di miglior scalatore, nonostante la scarsa ammirazione del resto del gruppo per il suo carattere a volte sfrontato e poco amichevole; il secondo, appena ventiduenne, era alla prima partecipazione al Tour, ma ha corso come un veterano, e ha letteralmente dominato la prima settimana imponendosi in tre tappe, vincendo alla fine la maglia verde a punti e candidandosi a diventare un grande protagonista del ciclismo mondiale.
L'unica vera nota stonata di questa corsa, in fin dei conti, viene dai nostri atleti. A parte il terzo posto di Nibali, c'è poco da salvare per i corridori italiani: nessuna vittoria di tappa, quasi mai protagonisti durante le fughe o nelle volate, se si eccettua un secondo posto a testa per Petacchi e Scarponi. Non una grande premessa dunque, in vista dell'Olimpiade di Londra e del successivo Mondiale, ma gli azzurri ci hanno sempre abituati a stupire tutti, e nelle corse di un giorno possono fare la differenza. Sarà importante costruire una squadra valida e in grado di adattarsi alle varie situazioni, e sperare magari che il team Sky, per una volta, non decida di monopolizzare la gara come ha fatto con questo Tour.

FORMULA ALONSO

Immagine tratta da sportmediaset.it e modificata su cartoonize.net
Immaginate una realtà perfetta, con tutte le sue componenti che si incastrano alla perfezione formando il puzzle perfetto: ecco, benvenuti al Gp di Hockenheim di Fernando Alonso.
Tessera del puzzle numero zero (a priori): preventivamente la FIA comunica i penalty causa cambio rotto per Grosjean, Rosberg e Perez. 5 posizioni dietro e così si eliminano gli eventuali arrembanti ed ambiziosi problemi alla radice.
Tessera del puzzle numero uno: Q2. Della serie: tanto per rimarcare che tra il nostro spagnolo e il compagno di box Felipe Massa non c'è storia. Condizioni meteo incerte che relegano il mesto brasiliano alla piazza numero 14, fila 7. Come per ricordare chi porta i pantaloni a casa.
Tessera del puzzle numero due: nelle prove libere le McLaren vanno fortissimo? Le Lotus hanno un doppio f-duct? Tutte e due le Red Bull fan paura? Et voilà l' acquazzone provvidenziale che scombina le carte. Alonso parte primo, Vettel fa secondo, Webber terzo, Button ed Hamilton settimo e ottavo.
Tessera del puzzle numero tre: secondo intervento della giustizia divina, alias FIA. Webber è secondo nel Mondiale e doveva partire proprio attaccato dietro al bel Nando, ma la mannaia del cambio rotto scende su di lui. Da buon 3° scivola ad anonimo 8°. E mezza gara andata.
Tessera quattro del puzzle: a metà gara sei primo, ma c'è Vettel in rimonta ed anche Button che sopraggiunge di gran carriera? Benissimo, ecco un Hamilton clamorosamente doppiato causa foratura senza colpa, che fa un sorpasso da mettersi in piedi sulla poltrona ai danni di Vettel, il tutto solo per sdoppiarsi. Un gesto folle, bellissimo, inimmaginabile. Il biondino da qui cade poi preda di una rabbia più casinista che produttiva, e la manovra di Ham gli farà perdere quei secondini grazie ai quali Fernandino si mette al sicuro nella successiva sosta ai box. Ed il suddetto Hamilton si mette in scia di Fernando senza mai attaccarlo sino alla sua sosta. Bingo.
Tessera cinque: la gara finisce, vinci in maniera autorevole e clamorosa. Ma, se dobbiamo dirla tutta, quel Vettel sul secondo gradino del podio rompe un pò le scatole. Ed ecco il terzo intervento della FIA: sorpasso per il 2° posto irregolare, e retrocessione nell' ordine d' arrivo per il biondino.
Non 15 secondi come si vociferava, ma ben venti, il tanto di farlo scendere quinto.
Primo Alonso. Secondo Button. Terzo Raikkonen. Quarto Kobayashi. Quinto Vettel. Alè.
Morale della favola: classifica mondiale che recita Alonso punti 154, Webber (che ha finito ottavo) 120, Vettel Sebastian 110, Raikkonen 98, Hamilton 92.
Il buon asturiano merita la vetta della classifica. E' in uno stato di grazia spaventoso, è una stagione che lo erge tra i grandi di questo sport più delle 30 vittorie iscritte a referto.
E' tra i mostri sacri della Rossa, al fianco di Lauda e Schumacher. E vince la terza gara stagionale con una vettura che non è la più performante del lotto. Chapeau.


Pagelline: 1°Alonso 10 e lode; 2°Button 8,5; 3°Raikkonen 7; 4° Kobayashi 10; 5°Vettel 5; 6°Perez 8,5; 7°Schumacher 7; 8°Webber 4; 9°Hulkenberg 7; 10°Rosberg 7; 11°Di Resta 6; 12°Massa 4,5; 13°Ricciardo 6; 14°Vergne 6; 15°Maldonado 4,5; 16°Petrov 6,5; 17°Senna 4,5; 18°Grosjean 4; 19°Kovalainen 5; 20°Pic 6; 21°De la Rosa 7; 22°Glock 5; 23°Karthikeyan 6; RIT.Hamilton 7,5.

giovedì 19 luglio 2012

ITALIA-COREA DEL NORD, 46 ANNI DOPO

Immagine tratta da golcalcio.it

Se a un italiano appassionato di calcio chiedi qual è stata la più grande sconfitta per la Nazionale azzurra, molto probabilmente ti risponderà: Italia-Corea del 1966. E' questa in effetti una delle più grandi batoste di sempre per lo sport nostrano, una macchia indelebile nella storia del calcio azzurro, che neanche il passare degli anni ha cancellato dalla memoria collettiva, e che ancora oggi rievoca notti insonni e bruttissimi ricordi in chi visse quella gara da protagonista. Oggi è il triste anniversario di quella pagina nerissima per il calcio italiano.
L'Italia si presenta ai Mondiali del 1966 in terra inglese come una delle squadre più in forma del periodo. Nelle amichevoli di preparazione al torneo, gli azzurri hanno messo in mostra un ottimo gioco e segnato tanti gol, così tutti si aspettano una prova migliore delle precedenti edizioni, concluse già al Primo Turno. La squadra può contare su un portiere esperto come Albertosi, su solidi difensori come Facchetti, Burgnich, Rosato, Guarneri, Janich e Salvadore, su centrocampisti tecnici e talentuosi come Bulgarelli, Rivera, Juliano e Mazzola e su attaccanti di ottimo livello come Perani, Meroni, Pascutti e Barison. In girone, l'unico avversario veramente temibile è l'URSS del leggendario portiere Jasin, mentre il Cile e la Corea del Nord non sembrano ostacoli difficili da superare; contro i sudamericani c'è anche la voglia di vendicare la sconfitta di quattro anni prima, in quella che viene ricordata come la Battaglia di Santiago per il gioco sporco e violento dei cileni, mentre gli asiatici sono dei perfetti sconosciuti, che non fanno paura a nessuno.
Nonostante le apparenze però, il gruppo azzurro non è certo lo squadrone che tanti immaginano: c'è poca coesione, i blocchi interni di giocatori delle stesse squadre (Bologna, Milan, Inter) non vanno d'accordo, lo stesso capitano Salvadore non è ben visto da parte dello spogliatoio. Anche il tecnico Fabbri ci mette del suo rinunciando al libero Picchi, capitano e leader della grande Inter di Herrera, e al fantasista Corso, scatenando polemiche e alimentando le divisioni nella squadra azzurra. Inoltre, la forma fisica degli azzurri non è buona come sembra, e anzi col passare dei giorni il calo atletico dei giocatori è sempre più evidente. Nella prima partita, contro il Cile, arriva la vendetta tanto attesa, ma il gioco non è convincente; la gara successiva, contro l'URSS, si risolve in una sconfitta di misura, che però pone l'Italia davanti a un bivio. Contro la Corea ci vuole una vittoria netta e convincente, più che altro per l'orgoglio e per ridare entusiasmo, perché nessuno crede in una sconfitta e nella successiva eliminazione. I coreani però non sono il gruppo allo sbando che tutti credono, pur essendo tutti dei calciatori dilettanti: dopo la sconfitta contro i sovietici, hanno imposto il pareggio al Cile, e hanno dalla loro parte il pubblico inglese, che li ha "adottati" e tifa con calore per loro.
Fabbri è molto fiducioso, fa un po' di turnover in vista dei Quarti di Finale, esclude il capitano Salvadore dando la fascia a Bulgarelli, e rinuncia a Rosato, Burgnich e Meroni. La partita inizia con un attacco continuo degli azzurri, che sbagliano un numero incredibile di gol per imprecisione, sfortuna e bravura del portiere avversario. I coreani si difendono come possono, ma dimostrano anche di avere delle buone individualità e quando possono ripartono in contropiede, creando problemi alla difesa italiana con la loro velocità. A metà primo tempo, poi, il capitano Bulgarelli si fa male al ginocchio e deve lasciare il campo, costringendo i suoi a rimanere in 10 per tutta la gara perché al tempo le sostituzioni non sono ancora permesse. Con l'uomo in meno, e un po' sfiduciati per i tanti errori commessi, gli azzurri iniziano a sentire la pressione, e la Corea ne approfitta poco prima dell'intervallo. Il centrocampista Pak Doo Ik, divenuto celebre per tutti gli sportivi italiani e ricordato dalla stampa come un dentista (aveva quella qualifica, ma in realtà era un docente di educazione fisica), batte Albertosi e porta gli asiatici in vantaggio. Fabbri cerca di dare la sveglia durante l'intervallo, ma la situazione non cambia, l'Italia è sempre più sfiduciata e alla fine si rassegna alla clamorosa sconfitta e all'eliminazione. E' la notte più nera per il calcio italiano, la batosta che fa più male. Al rientro a casa, i calciatori vengono accolti con insulti e pomodori dalla gente, il tecnico Fabbri viene cacciato e squalificato per un anno, la Federazione chiude le porte agli stranieri con l'intento di ridare vigore al movimento calcistico nazionale. La Corea invece sfiora un'altra impresa nei Quarti del torneo, quando va in vantaggio 3-0 contro il Portogallo di Eusebio, prima di arrendersi 5-3 agli avversari e al poker del grande attaccante lusitano.
Nei 46 anni che sono trascorsi da quella cocente umiliazione, sono stati versati fiumi e fiumi d'inchiostro, si sono fatte mille ipotesi sugli errori e sulle colpe di quella sconfitta. Fabbri è stato accusato di scarsa attenzione alla squadra, di non aver gestito il gruppo, di aver escluso un attaccante promettente come Riva dai convocati, di non aver dato la giusta fiducia al blocco dell'Inter, e ha portato il peso di questa batosta fino alla morte. Ma tutta la squadra ha pagato la supponenza e la sicurezza con cui affrontò la partita, visto che gli avversari erano stati presentati come "una comica di Ridolini", e il progressivo andamento della gara ha dimostrato che gli asiatici meritavano ben più attenzione e rispetto. Dopo quello sfortunato episodio, la Nazionale ha saputo rialzarsi e conquistare il Campionato Europeo nel 1968 e il secondo posto ai Mondiali del 1970, ma nemmeno le vittorie hanno cancellato il ricordo di quella clamorosa disfatta, che può essere ricordata a buon diritto come la madre di tutte le sconfitte dello sport azzurro.

lunedì 16 luglio 2012

62 ANNI DOPO: IL DISASTRO DEL MARACANA'

Immagine tratta da calciopro.com

Se cercate sui libri di storia, il 16 luglio è ricordato soprattutto per un evento: l'inizio del calendario islamico, perché nel 622 d.C., proprio in questo giorno, Maometto fuggì da La Mecca in direzione di Medina (la famosa "egira"). In un'altra parte del Mondo, invece, questa data è legata ad un episodio sportivo non brutto, di più: una vera e propria tragedia nazionale, un dramma che sconvolse un Paese intero e che lasciò il segno in chi lo visse da protagonista. La Nazione in questione è il Brasile, e la data storica è il 16 luglio del 1950, giorno in cui l'Uruguay sconfigge i carioca nello stadio Maracanà e si laurea campione del Mondo per la seconda volta; in lingua portoghese, l'evento viene ricordato come "Maracanaço".
E' la prima edizione dei Campionati del Mondo dopo la fine della guerra, partecipano a mala pena 13 squadre, e la favorita è una sola: il Brasile, padrone di casa. I sudamericani hanno una squadra molto forte, con grandi talenti offensivi come Ademir, Zizinho e Jair, e sono sostenuti da tutta la Nazione, che vede in questo evento la possibilità di dare un segnale forte al Mondo. Dopo la sconfitta in semifinale nel 1938 contro gli azzurri, affrontati con presunzione e lasciando fuori il loro miglior giocatore, Leonidas, in vista di una finale che non disputeranno mai, i brasiliani pianificano tutto con attenzione, a cominciare dallo stadio in cui giocheranno; viene costruito, appositamente per la competizione, lo stadio Maracanà di Rio de Janeiro, una struttura incredibile che può ospitare fino a 200.000 persone, e che diventa la roccaforte della squadra, che quando gioca lì sa solo vincere. Nella prima fase del torneo, infatti, il Brasile batte 4-0 il Messico e 2-0 la Jugoslavia, mentre con la Svizzera pareggia a sorpresa 2-2, giocando però in un altro stadio, il Pacaembu di San Paolo. Nonostante questo piccolo intoppo, tutto sembra procedere per il meglio, anche perché le due avversarie più temibili sulla carta, l'Italia e l'Inghilterra, tradiscono le attese e vengono eliminate da Svezia e Spagna. 
La formula del torneo prevede un girone finale a 4 squadre, con il titolo assegnato a quella che farà più punti. Contro il Brasile ci sono la Spagna, la Svezia e l'Uruguay, tutte squadre battibili e che non sembrano pericolose. Nelle prime due gare, i padroni di casa rifilano un 7-1 alla Svezia e un 6-1 alla Spagna, e si preparano all'ultima partita contro gli uruguaiani come se fosse una formalità. I loro avversari hanno pareggiato in rimonta 2-2 contro la Spagna e vinto a fatica contro la Svezia 3-2, dopo essere stati sotto in entrambi i casi. Il Brasile affronta la sfida finale sulle ali dell'entusiasmo e con due risultati su tre a favore, visto che l'Uruguay sarebbe campione solo vincendo al Maracanà, un'impresa che sembra davvero impossibile. In barba alla scaramanzia, vengono preparate magliette celebrative dell'evento, tutti sono già in festa, i giornali annunciano la vittoria, le medaglie per i calciatori sono pronte, e persino il presidente della F.I.F.A. Jules Rimet ha già scritto il discorso in portoghese. Dal canto loro, gli uruguaiani si concentrano solo sul match e puntano su alcune grandi individualità, il portiere Maspoli, il difensore e capitano Varela, il fantasista Schiaffino e l'ala Ghiggia. Nonostante l'ambiente ostile, sono pronti a vendere cara la pelle e a giocarsi fino in fondo le loro chance di vittoria.  
Il primo tempo è un dominio brasiliano, ma la difesa avversaria regge e i contropiede dei "celesti" fanno tremare più volte il Maracanà. Poi, a inizio ripresa, Friaca approfitta di un errore di Maspoli e segna, facendo esplodere lo stadio e dando il via a una festa quanto mai precoce ed eccessiva. Fedeli al loro stile di gioco, i brasiliani continuano ad attaccare pur potendosi accontentare, e stavolta i contropiede degli avversari si concretizzano a metà tempo con il pareggio di Schiaffino. Il gol subito lascia il segno nel morale dei padroni di casa, che nonostante il vantaggio in classifica smettono di giocare e lasciano ancora il fianco scoperto, di cui Ghiggia approfitta per segnare il gol del clamoroso vantaggio a pochi minuti dalla fine; lo stadio resta in silenzio, il Brasile attacca disperatamente ma non passa, e il fischio finale sancisce l'incredibile: l'Uruguay è campione del Mondo. Le reazioni sono a dir poco drammatiche: molti spettatori vengono colpiti da infarto, alcuni si buttano dagli spalti, tutti in generale sono in lacrime per quella che è una vera e propria tragedia nazionale. La premiazione festosa e magnifica viene annullata, la festa cancellata, in campo restano solo gli uruguaiani a ricevere la coppa da un sorpreso Rimet e ad assistere alle scene di dolore di tutti intorno a loro. Vengono programmati 3 giorni di lutto nazionale, in tutto il Brasile quasi 100 persone perdono la vita per infarto o suicidio dopo la partita, i calciatori e l'allenatore della Nazionale finiscono sotto accusa; su tutti, il più criticato è il portiere Barbosa, additato per il resto della vita come responsabile della sconfitta e riabilitato solo in parte dopo la sua morte.
Insomma, il 16 luglio, che doveva essere un giorno di festa in Brasile, si è tramutato nella ricorrenza di una delle più grandi tragedie sportive nella storia del calcio. Dopo quella batosta, i giocatori cambiarono i colori della loro divisa, passando dal bianco al verdeoro con cui adesso li conosciamo, e si riscattarono solo 8 anni dopo, quando finalmente alzarono al cielo la Coppa del Mondo. Nemmeno quel successo e le vittorie successive, tuttavia, hanno cancellato il ricordo del Maracanaço, rimasto indelebilmente nella memoria di tutti i brasiliani, e che lo stesso Ghiggia, autore del gol vittoria, ricordò in seguito con orgoglio: "Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanà con un gesto: Frank Sinatra, il Papa, e io."

domenica 15 luglio 2012

LA DIASPORA

Immagine tratta da albesteiner.it e modificata su cartoonize.net
In questo primo scorcio di calciomercato (infatti ufficialmente la sessione si è aperta il 1°Luglio) un dato è particolarmente evidente: c'è una fuga dalla nostra Serie A verso mete ricche di denari, e mai come quest' anno numerose squadre han deciso di ammainare le proprie bandiere.
Andiamo in ordine. All' Atalanta proprio il 30 Giugno è scaduto il contratto dello storico Capitano Cristiano Doni, completamente invischiato e plurisqualificato per vari scandali calcioscommesse, dopo 10 stagioni ed il titolo di miglior marcatore della storia degli Orobici.
Da Bologna, sbarca oltreoceano e precisamente in Canada, Marco Di Vaio, anche lui Capitano reduce da 4 intense stagioni rossoblù condite da 65 reti.
A Cagliari saluta metà difesa: lo storico vicecapitano Agostini, 266 presenze dal lontano 2004 senza alcuna rete realizzata, e con lui Michele Canini, 161 presenze in 7 stagioni di Serie A.
A Verona sponda Chievo, arriva il momento dei saluti per Mandelli, dal 2004 in gialloblù con 205 presenze e ben 9 reti all' attivo.
A Firenze si decide di rompere il nucleo storico: niente rinnovo per Natali dopo 3 stagioni da titolare, Kroldrup dopo 6 e 117 partite, e per il vecchio Capitano Montolivo (219 partite e 17 reti) che passa al Milan. Con loro stanno partendo anche il Capitano attuale Gamberini (dal 2005 in viola con 191 presenze) e Behrami (dopo sole due stagioni) destinazione Napoli.
Più indolore sarà l' addio di Marchionni dopo 3 stagioni altalenanti.
Al Genoa si ammaina la bandiera Palacio, che passa in un top club, l' Inter. Nel turbillon di giocatori alla corte di Preziosi, i suoi 3 anni e 35 reti sembrano almeno il doppio.
L' Inter decide di dare il benservito alla vecchia guardia: Cordoba smette dopo 12 anni e 323 partite nerazzurre, il terzo portiere Orlandoni lascia dopo 7 stagioni e 4 sole presenze, per Lucio 3 sole stagioni, ma condite da tutti i titoli e via alla Juve a parametro zero. Con loro pronti all' addio i vari Julio Cesar, Pazzini, Stankovic.
La Juve invece ammaina la bandiera per antonomasia, Alex Del Piero, dopo 19 stagioni in bianconero, con annessi record di presenze e reti (513 e 208).
Anche al Milan cambio generazionale: titoli di coda per Seedorf (10 campionati con 300 presenze e 47 reti), Gattuso (13 stagioni, 335 partite e 9 gol), Zambrotta (4 stagioni con 85 gettoni e 2 reti), Nesta (10 anni con 224 presenze e 7 reti), Pippo Inzaghi (11 stagioni con 202 partite e 73 gol), tutti svincolati. Ai quali si aggiungono Thiago Silva (dal 2009, 93p. 5r.) e Zlatan Ibrahimovic (sole due stagioni da 61 presenze e 42 reti), "rapiti" dai dollari arabi del Paris St. Germain.
Persino il Napoli iscrive una sua bandiera in questa lista, anch' essa consegnata ai parigini in cambio di un assegno irrinunciabile: Ezequiel Lavezzi, che saluta il San Paolo dopo 156 presenze e 38 reti da idolo indiscusso sin dal suo sbarco nel 2007.
Il Pescara arriva in A e dà il benservito al suo Capitano, Sansovini, che rimane in Serie B con i colori dello Spezia, per lui 110 match e 31 gol, con il titolo di miglior marcatore della atoria biancoazzurra.
In sospeso il talentino Marco Verratti, in procinto anche lui di sbarcare a Parigi, a fronte di un' offerta pazzesca per un giocatore che ancora non ha esordito in Serie A,, che oltrepassa la doppia cifra (74 presenze e 2 reti per lui).
La Roma invece lascia libero un calciatore simbolo della difesa giallorossa degli ultimi anni, Juan, che si accasa all' Internacional, dopo 118 presenze e 9 reti in 5 stagioni.
Un altro caso di rapimento a suon di milioni è quello di Borini, venduto dopo un' ottima stagione d' esordio in A al Liverpool per 14 milioni più bonus. Offerta quasi irrinunciabile.
Nel suo piccolo anche il Siena smantella il nucleo fondante delle ultime stagioni: Rossettini passa al Cagliari (108 presenze e 1 rete dal 2008 per lui in bianconero), e Franco Brienza torna a Palermo dopo 2 anni da titolarissimo.
Restyling anche per le zebrette udinesi, che perdono d' un colpo di fronte alle sirene di Juve ed Inter, Asamoah (114 partite e 8 gol), Isla (127 match e 6 reti), Handanovic (182 presenze).
Pare chiaro come questo più che mai sia il mercato degli spogliatoi smembrati, degli ingaggi "sostenibili", dei gruppi storici disfatti e dei petroldollari parigini ed esteri pronti ad offerte irrinunciabili, per giovani talenti e campioni affermati.
Siamo a un punto di svolta, scelte aziendali e sceicchi che fanno la spesa.
E' necessario ritrovare un' identità e dar forza a queste squadre non più partendo dai fuoriclasse, ma dall' organizzazione di gioco e il bel calcio.
Perchè soldini da spendere non ce ne sono. E ci vorrà molta, molta fantasia.
Non è detto che sia un male. 
Ma occhio, la diaspora non è ancora finita. Siamo solo al 15 di Luglio.

mercoledì 11 luglio 2012

TRENT'ANNI DOPO: 11 LUGLIO 1982

Video tratto da youtube.com

Ci sono immagini, frasi, giorni che rimangono per sempre nella memoria dei tifosi, scolpiti in maniera indelebile, come se il tempo non passasse mai e quello che si è vissuto tornasse ciclicamente a ripetersi. L'urlo di Marco Tardelli, autore del gol che da sempre più all'Italia la certezza della vittoria, la faccia soddisfatta del presidente Sandro Pertini, che si rivolge a chissà chi agitando l'indice e dicendo: "Non ci prendono più!", la voce entusiasta di Nando Martellini che al fischio finale grida: "Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!", la storica fotografia dello scopone a 4 disputato il giorno dopo la partita sull'aereo del ritorno. Testimonianze, frammenti di memoria di una serata che il calcio e lo sport italiano non hanno mai dimenticato: esattamente trent'anni fa, l'11 luglio del 1982, la Nazionale azzurra vinceva i Mondiali di Calcio, 44 anni dopo l'ultima volta, e nella splendida cornice di Madrid scriveva una vera e propria pagina di storia.
Una squadra entrata nell'immaginario di tutti, solida e molto unita, magari non spettacolare ma in grado di unire tutta l'Italia, e di emozionare come mai prima di allora. Tante anime, caratteri forti e talenti puri, ognuno con il suo ruolo preciso in campo, tutti decisivi insieme sul campo. Il capitano, Zoff, una sicurezza tra i pali azzurri, primo italiano a superare 100 presenze in Nazionale, vincitore del Mondiale a 40 anni suonati, leader silenzioso e carismatico del gruppo. Il mastino Gentile, implacabile marcatore dei numeri 10 più forti del torneo, Maradona e Zico, annullati dalla sua grinta e dal suo gioco asfissiante, ruvido, sempre al limite e forse oltre. Il bel Cabrini, terzino con il fiuto del gol, che sbaglia un rigore in finale ma non cancella per questo una serie di grandi prestazioni. Gli altri difensori, Collovati e Bergomi, l'esperto e il ragazzino, insuperabili per i centravanti avversari. Il libero Scirea, esempio di classe e correttezza, che sarebbe entrato nella leggenda pochi anni dopo con la sua tragica scomparsa. I polmoni del gruppo, Marini e Oriali, che corrono per tutti, poco appariscenti ma fondamentali per il centrocampo. Tardelli, l'uomo della finale, un lottatore abile negli inserimenti che ama segnare gol pesanti. Antognoni, la luce azzurra in mezzo al campo con la sua fantasia, sfortunato in semifinale ma importantissimo fino ad allora. Conti, l'imprendibile ala azzurra, tanta classe e un dribbling fantastico che manda in crisi ogni avversario, un talento pari a quello dei fuoriclasse brasiliani. Causio, un fedelissimo del tecnico, che aggiunge esperienza al gruppo nonostante sia in calo rispetto al passato. Graziani, l'uomo di peso dell'attacco azzurro, in campo solo per 7 minuti nella finale, ma sempre prezioso. Altobelli, la punta di riserva, bravo a farsi trovare pronto quando serve e a chiudere definitivamente il discorso nella finale. E poi lui, Paolo Rossi, il Pablito nazionale, discusso e criticato all'inizio, decisivo nel castigare Brasile e Polonia, che rompe l'incantesimo anche in finale e diventa capocannoniere ed eroe. Senza dimenticare ovviamente gli altri azzurri, che pur non mettendo mai piede in campo hanno contribuito in maniera decisiva a creare l'armonia e la collaborazione nello spogliatoio italiano, e possono fregiarsi a buon diritto del titolo di Campioni del Mondo.
Ma più di tutti loro, più di ogni singolo, come detto, vale il gruppo, e vale soprattutto chi è stato il condottiero e il creatore di questa squadra: Enzo Bearzot. Friulano come Zoff, anche lui poco avvezzo alle chiacchiere e molto concentrato sui fatti, un leader all'interno dello spogliatoio ma anche una guida lucida e in grado di capire l'evoluzione del gioco. Al timone della Nazionale da molti anni, dopo il Mondiale bello e sfortunato del 1978 e il deludente Europeo del 1980, fa storcere il naso a molti critici con le sue scelte: richiama in squadra Rossi, reduce dalla squalifica per il calcio-scommesse, scommette su alcuni giovani come Bergomi, appena diciottenne, e preferisce il mite Selvaggi al bomber Pruzzo e all'estroso Beccalossi, che mal si adattano al suo gruppo. Il torneo inizia male, la squadra stenta e sfiora l'eliminazione nel girone, le critiche piovono sulla sua testa e lui impone il silenzio stampa. Quella chiusura sarà decisiva, rafforzerà ancora di più l'unione dei giocatori, darà a tutti la necessaria forza per diventare anche vincenti e completare quel percorso di crescita che molti di loro avevano iniziato in Argentina quattro anni prima, sempre sotto la sua guida. Battendo in successione Argentina, Brasile, Polonia e Germania Ovest, la sua Italia tornerà con merito sul tetto del Mondo, e il "Vecio" sarà portato in trionfo da tutti i suoi ragazzi, grati per ciò che ha loro insegnato. Fallirà in seguito, negli Europei del 1984 e soprattutto nei Mondiali 1986, ma niente potrà mai intaccare il ricordo e il merito per la storica impresa compiuta in Spagna, contro tutto e tutti.
Anche oggi, a trent'anni di distanza, tutto il Paese celebra con gioia quel momento di festa, i più anziani ricordano con nostalgia quel giorno, i giovani guardano con occhi estasiati le immagini di quella vittoria. Il ricordo è sempre più vivo e fresco, anche dopo il successo del 2006, che ha scritto un'altra pagina importante nella storia del calcio e dello sport italiano. Anche i ragazzi di Lippi sono entrati nel cuore dei milioni di tifosi azzurri, e proprio due giorni fa si è celebrato il sesto anniversario del loro trionfo a Parigi. Ma, nonostante questa vittoria recente, il ricordo del successo del 1982 è ancora vivo nel cuore di tutti, limpido e nitido dopo tanti anni. Perché quella vittoria rappresentò una rivincita per tutti, il ritorno alla vittoria per un Paese intero, dopo tanti anni di sconfitte non solo sportive. Un segnale di ripresa e di rinascita per tutta la Nazione, unica come mai prima di allora in quella magica notte di luglio, quando l'Italia intera unì la sua voce a quella del grande cronista Nando Martellini in quel grido storico e liberatorio:"Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!"